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Beeer Mag. 2021 ©

Gose, la birra perduta e riscoperta che oggi sta ridefinendo le bevute estive

Resistenza è uno dei termini con cui si può guardare la storia della Gose (pronunciata gohz-uh e non gheo-ze), la birra ad alta fermentazione nata in un angolo della bassa Sassonia mineraria che, con il suo gusto leggermente salato e rinfrescante, una bassa gradazione alcolica e punte di coriandolo, ha progressivamente conquistato le fantasie dei mastri birrai contemporanei e le spine estive sparse dappertutto. Il percorso della Gose è tutt’altro che lineare e alterna epoche dorate e imprese eroiche a momenti di decadenza assoluta che l’hanno portata a scomparire completamente prima di arrivare fino a noi.

Nata intorno all’anno 1000 d.c., dove il fiume Abzucht confluisce nel suo affluente Gose, la cui acqua particolarmente minerale forniva il caratteristico gusto salato della ricetta originale, la Gose vive e sopravvive silenziosamente per centinaia di anni come una specialità territoriale, opponendosi (sempre per quel fattore resistenza) al dominio brassicolo della Baviera e al suo Reinheitsgebot che avrebbe voluto eliminarlo. A differenza di lager e birre di frumento permesse dalla legge della purezza, i birrai di Goslar a una base di 50% orzo/50% frumento aggiungono il coriandolo, in maniera simile alla blanche, lasciando poi la fermentazione andare selvaggiamente per la sua strada direttamente in botti aperte. La Gose resiste alla mattanza bavarese ed esplode a fine settecento con l’arrivo a Lipsia dove, a poca distanza l’una dall’altra, fioriscono più di ottanta Gosenschanken,  le tradizionali taverne in cui l’oro di Goslar non è solo servito senza sosta ma sono il luogo in cui avviene una magica seconda fermentazione. Nel buio delle cantine, infatti, le Gose imbottigliate venivano lasciate senza tappo, così si dice, liberando ancora una volta i lieviti che, per difendersi dall’aria una volta raggiunta la cima, formavano una sorta di chiusura naturale che, poi, veniva tagliata prima di essere servita.

 

birra gose beer salata

 

È un’epoca dorata per la birra Gose, che a Lipsia scorre a fiumi inondando ogni strada e ogni quartiere. Johann Gottleib Goedecke fonda Ritterguts, il primo birrificio ufficiale nei sobborghi di Döllnitz nel 1824 dando il via a quella che sarebbe stato l’epicentro della Gosefever di metà ottocento. Nonostante la produzione si assesterà attorno al milione di bottiglie annuali, questa Belle Èpoque salata non uscirà mai dai propri confini. Col tempo i giovani gosers della Sassonia invecchiano e bevono sempre meno, le nuove generazioni perdono interesse e il culto della Gose comincia a percorrere il viale del tramonto. È il 1945 quando, ufficialmente, chiude l’ultimo birrificio a Döllnitz. Nell’oscurità delle cantine della bassa Sassonia, però, il fermento è tutt’altro che cessato e la ricetta rimane in vita grazie alle produzioni casalinghe e a quelle di dubbia legalità delle poche Gosenschanken rimaste. Friedrich Wurzler è un ex dipendente di Ritterguts e uno dei messia di questi irriducibili che, nel ’49 decide di utilizzare la propria ricetta basata su quanto imparato dal precedente lavoro, per ricominciare la produzione. Il momento di entusiasmo, però, dura poco con la Gose che scompare del tutto a partire dagli anni ’60.

Come nella migliore storyline alla Jumanji, la Gose è arrivata fino a noi grazie dopo una serie di peripezie che si concludono quando Lothar Goldhahn acquista negli anni ’80 una Gosenschanken in disuso e immersa nella polvere. Insieme a lui c’è il dottor Hennebach, un microbiologo ex bartender nella DDR che ricrea la ricetta di Wurzler recuperando i suoi appunti. Ovviamente l’esperimento non riesce a ottenere il successo sperato e il progetto fallisce. Goldhahn, tuttavia, non si arrende, e convince i ragazzi di quella che sarà Bayerischer Banhof a puntare sulla sua ricetta, sviluppando quella che oggi è la Gose tradizionale di riferimento. La birra Gose riprende a macinare adepti finché, sull’onda della new wave delle acide come la Berliner Weisse, esce definitivamente dai confini, solcando l’Oceano (sancendo la fine della craft revolution americana secondo Joe Keohane sulle pagine di Thrillist) e  arrivando un po’ dappertutto, in Scandinavia, Gran Bretagna fino in Italia.

 

birra gose birrificio 61cento salemandra

 

La Gose oggi, dalle fermentazioni selvagge all’acidità ottenuta da frutta e fiori

Ovviamente, oggi, la produzione è molto cambiata rispetto alle fermentazioni criminali che avvenivano nelle cantine delle Gosenschanken. La fermentazione selvaggia, oggi, viene riprodotta soprattutto attraverso l’utilizzo di un lattobacillo che permette di far sviluppare quella caratteristica acidità lattica originale, avvenendo in ambienti controllati per impedire le fughe dei batteri. La leggenda narra che l’intuizione sia stata del solito Michael Jackson che, durante una sua visita alla Bayerischer Banhof suggerì questa pratica già diffusa in tutto il mondo:

 

Quando ho assaggiato un prototipo di birra Gose, quattro anni fa, ho sentito che la sua acidità rinfrescante era troppo apertamente citrica e che si doveva usare un lattobacillo. Questo è stato un commento passeggero – non sono un consulente tecnico – e sono stato contento di sapere dal proprietario Schneider che aveva accolto il mio suggerimento. La fermentazione principale è con un lievito di birra di frumento Weihenstephan, ma sia questa che la secondaria sono in vasche cilindro-coniche. Questi sono usati come unitank, con una lagerizzazione a freddo.

 

Anche Samuele Giunta e Roberto Agostini del Birrificio 61cento di Pesaro usano i lattobacilli per creare la loro Salemandra (qui), una possibilità aiutata dall’evoluzione dei metodi di birrificazione dietro cui è possibile ritrovare una spiegazione sul fatto che tanti birrifici si stiano approcciando a questo stile: «Tecnologicamente sono usciti degli strumenti che permettono di creare questo tipo di fermentazioni senza la necessità di predisporre una cantina di fermentazione dedicata. Le fermentazioni lattiche sono le più complesse da arginare, una volta che si diffondono nell’aria condizionano tutte le altre». Per ottenere la loro birra Gose adriatica che risorge fra le fiamme di agosto aggiungono sale dolce di Cervia, estratti di zenzero e succo di limone direttamente nel mosto, che viene lasciato a fermentare con il lievito per sviluppare un’acidità più o meno intensa in base al tempo di cottura.

 

Per la nostra Salemandra non volevamo una sour con altri livelli di acidità che avrebbe potuto rendere difficile la bevuta, quindi abbiamo cercato di ridurre l’impatto della fermentazione lattica aggiungendo il succo di limone e gli estratti di zenzero, oltre al coriandolo tradizionale. Questo ci ha permesso di ottenere un’interpretazione estiva e dissentante della Gose tradizionale, in cui la punta salata gioca con la citricità del limone e la leggera piccantezza dello zenzero.

 

raskolnikov birrificio elav

 

Non solo lattobacilli, sempre più spesso l’acidità viene reinterpretata attraverso l’uso di spezie o l’utilizzo di frutta, trasformando il processo per conferirgli una carica sour differente e meno intensa. Nel caso della Raskolnikov del Birrificio Elav (qui) questo avviene attraverso l’utilizzo del lampone, che permette al birrificio bergamasco di spostare il focus su note e profumi più delicati senza, però, rinunciare all’acidità. Come ci racconta Antonio Terzi, fondatore e mastro birraio di Elav, il gioco è tutto «nel trovare il giusto equilibrio fra salinità e acidità. Con la birra Gose lavoriamo direttamente sulle origini della birra, sulle fermentazioni spontanee e incontrollabili da un punto di vista di produzione che, comunque, si sposa perfettamente alle interpretazioni moderne che lo caratterizzino con sapori e ingredienti inediti. Quello della Gose è uno stile modernissimo sempre più apprezzato e che permette uno spazio interpretativo molto ampio toccando gusti diversi come il salato, l’acido, lo speziato ed è in grado di aggiungere qualcosa di estremamente piacevole alla bevuta».

Perché, direte voi, limitarsi alla frutta quando puoi usare i fiori? Per la loro Gos’è al Birrificio Orso Verde (qui) di Varese l’acidità non è conferita dai lattobacilli che non vengono utilizzati ma fornita direttamente dai fiori di ibisco che donano alla Gos’è toni floreali vicini al carcadé. Per il mastro birraio di OV, Andrea Rogora, la scelta di utilizzare questi ingredienti permette «Di abbassare il ph  donando una spiccata acidità floreale e un particolare colore rosa antico alla birra. Come ogni ingrediente, anche i fiori variano molto di utilizzo in utilizzo, modificando il colore e dando una caratteristica gustativa e di colore sempre nuova alla birra, per questo diventa necessario osservare attentamente l’evoluzione di ogni cotta. I fiori a differenza di altri ingredienti sono difficili da standardizzare. Una mano ce la danno il coriandolo e il sale di Sicilia, che per la sua spiccata dolcezza ci permette di limitare la salinità ma lasciare attivo il gusto caratteristico della Gose».

 

gos'é birra OV

 

Per molti aspetti fornire salinità alla Gose è la vera sfida della produzione. Il rischio maggiore è infatti che il sale, se troppo, blocchi la fermentazione e, se poco, non doni quella caratteristica mineralità che dona alla Gose il suo carattere rinfrescante. È anche questo il motivo per cui i birrifici giocano con le provenienze e i particolari tipi di sale naturale sparsi per il mondo, dalla vicina Cervia per il Birrificio 61cento, dalla Sicilia per Orso Verde fino al rosso hawaiano utilizzato dal Brifficio Elav. Per la loro Salty la Faina i ragazzi romani di Jungle Juice Brewing (qui) utilizzano il sale di Guerande, che viene aggiunto a freddo poco prima del confezionamento: «Per la fermentazione non potendo reperire il ceppo di lievito originario abbiamo scelto di adoperare il ceppo con cui viene fermentata la nostra Keller Pils, riutilizzandolo a temperature superiori per cercare di enfatizzare un profilo aromatico più presente. La scelta sull’aggiunta di sale alla fine della maturazione deriva anche dalla volontà che quest’ultimo non influenzi negativamente il processo fermentativo, in questo modo il dosaggio sia più adeguato e facilmente armonizzabile con gli altri ingredienti».

Con il passare di tempo la birra Gose, partita come uno stile di nicchia e per beerhunters, ha cominciato a essere sempre più presente nei birrifici che sperimentano sempre nuovi accostamenti e modalità di produzione per rinnovare e trasformare lo stile di partenza. Da anni, ad esempio, il Birrificio Sabino ha una linea interamente dedicata, in cui alla fermentazione lattica viene accostato un denso lavoro di studio sulla frutta che aumentano in maniera indescrivibile la juiciness di questo stile scomparso e che oggi ridefinisce il concetto di bevuta estiva. Proprio la facilità di bevuta, e la sua particolarità, avvicina le produzione di Samuele e Roberto a quelle di Antonio, di Andrea e dei ragazzi di Jungle Juice, in cui la ricerca è di ottenere una birra estremamente beverina e rinfrescante che, a differenza di Session IPA, Farmhouse e basse fermentazioni canoniche introduce al bevitore anche meno il concetto di sour, tracciando la strada per una la prossima riscoperta.

 

gose Jungle Juice Brewery

 

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Foto di Lorenzo Pasquinelli, tutti i diritti riservati.

 

Per saperne di più:

https://www.eater.com/drinks/2015/10/30/9643780/gose-beer-germany

https://movimentobirra.wordpress.com/2013/03/22/gose-a-lipsia-ma-non-solo/

https://www.hopculture.com/the-history-of-gose-beer/

http://www.beerhunter.com/documents/19133-001353.html

Birra Gose in questo articolo:

Salty la Faina – Jungle Juice Brewing 

Raskolnikov – Birrificio Elav

Salemandra – Birrificio 61cento

Gos’è – Birrificio Orso Verde