Spaceman brewfist birra artigianale
Ginevra Romagnoli x Beeer Mag. 2022 ©

Credibilità alla luna: L’approdo di Spaceman nell’universo delle IPA italiane

L’ispirazione per la Spaceman arriva dalla percezione di un errore”, ci racconta Andrea Maiocchi, “Gli investimenti per il birrificio erano stati alti e non potevamo permetterci di sbagliare una seconda volta”. È la primavera 2011, e nell’universo delle birre artigianali BrewFist è attivo solo da qualche mese. Sul mercato sono uscite le sue prime quattro birre, ma la Burocracy, la prima IPA del birrificio lodigiano, non sembra soddisfare le esigenze del momento. Per questo motivo Andrea Maiocchi e Pietro Di Pilato scelgono di rimettersi subito in gioco e tornare in sala cottura, rimodulano rapidamente gli ingredienti, convergono sulla costa ovest degli USA, riscrivono il packaging.

All’epoca la birra artigianale era un contesto profondamente differente da oggi, per la maggiore andavano ancora le bottiglie da 75cl. Ci sembrava un formato indirizzato verso un target sbagliato o che, almeno, non fosse adatto a quello che stavamo cercando noi. Quando abbiamo deciso di fondare BrewFist l’obiettivo era quello di portare anche un cambiamento che potesse svecchiare questo immaginario e, così, ci siamo messi a studiare come poterlo fare, progettando quattro birre con cui uscire. La Burocracy era molto equilibrata e mentre la creavamo pensavamo fosse proprio sopra le righe. Quando è uscita ci siamo accorti presto che avevamo sbagliato, che non potesse essere effettivamente la nostra IPA di punta così, con Pietro, ci siamo detti ‘Ok, dobbiamo cambiare. Dobbiamo piantare la bandiera di BrewFist sulla luna’. A differenza delle altre quattro birre che avevamo costruito insieme nell’impianto di casa, passando anni per perfezionarle al millimetro, non avevamo tempo. Dovevamo andare subito in cotta e così Pietro è tornato su un’idea molto classica: cercare di compensare l’amarezza del luppolo con le note fruttate dei tre luppoli che aveva scelto”.

Il 18 aprile la Spaceman di BrewFist appare per la prima volta a Roma, su una base di lancio inedita, fra dubbi, paure e rischi. L’atterraggio avviene in maniera perfetta. La Spaceman pianta sin da subito la propria bandiera sul pianeta IPA e, fra la sorpresa dei presenti, sembra avere tutta l’intenzione di restarci. Ad accorgersene subito, come ricorda Andrea Maiocchi, è Manuele Colonna che decide di prenderla fra le spine fisse nello storico crocevia del Ma che siete venuti a fa’, dove rimane per lungo tempo, diffondendosi poi dappertutto e assumere una sorta di ruolo da capostipite nell’attuale concezione dello stile americano. La Spaceman si imponeva, infatti, con equilibrio e scorrevolezza fra le prime IPA acerbe, che oscillavano fra un’estrema amarezza di tradizione britannica a una difficoltà di gestione sulla freschezza e l’aromaticità dei new style americani, facendo partire, di fatto, il motore di BrewFist: “Con la presentazione a Roma ad aprile, la Spaceman ha di fatto sbloccato il meccanismo, ha fatto partire con qualche mese di ritardo l’interesse a livello di richieste e del processo di riconoscibilità del birrificio. Abbiamo deciso che allora fosse necessario dirigere tutta la nostra comunicazione su Spaceman perché ci sembrava quella giusta per fare breccia sul mercato. Eravamo pronti, non volevamo solo cambiare la percezione della birra artigianale cambiando bottiglia, ma presentarla in un modo nuovo. Avevamo fatto analisi e ricerche e avevamo capito che per togliere i dubbi intorno a questo tipo di prodotti che, sul lato vendita, veniva percepito come investimento pericoloso rispetto all’industriale per via della schiuma e del fondo, dovevamo dare un’idea di sicurezza, perché era buona, perché era controllata. Una volta ottenuta questa attenzione sapevamo di non poter più sbagliare”.

 

Spaceman brewfist birra artigianale

 

BrewFist si mette allora all’opera per ragionare attorno a questo concetto di credibilità, per sostenere il ritmo forsennato con cui la Spaceman inizia e essere richiesta un po’ in tutta Italia, raggiungendo anche, come ci dice Andrea Maiocchi, l’80% della sua intera produzione. La possibilità di contare su una birra fissa, che negli anni comincia a ad assumere per i bevitori una sicurezza, consente a BrewFist di ampliare i tipi di produzioni, arrivando negli ultimi anni ad offrire dalle spine del suo Terminal 1, 22 spine differenti, sperimentando fra botti e stili più diversi, ma anche approfondendo e affinando la ricetta per mantenere la Spaceman sempre attuale e adeguata ai cambiamenti: “La Spaceman ci ha consentito di essere liberi, e la ringrazieremo sempre per questo. Dal punto di vista produttivo abbiamo sempre creduto che le birre dovessero sempre rispecchiare il momento in cui siamo e si tratta di un continuo puntare sullo sviluppo e la ricerca. L’approccio produttivo e il metodo sono in continua evoluzione, questo non significa cambiare la natura della Spaceman, come ad esempio spostarla sulle NEIPA, ma tenere ben salda la linea, seguire il flusso con cui i raccolti cambiano i gusti, provarli negli impianti pilota per capire quale sarà la birra che verrà e come correggerla. Riuscire a tenere il passo è fondamentale, all’inizio magari guardavamo gli altri ma ora partiamo da noi, i birrifici nuovi che nascono o che scopriamo ci danno nuovi punti di ispirazione, ed è il bello di questo mondo. Nel nostro pub abbiamo 22 linee ma ne teniamo 5 o 6 in cui proviamo i nuovi prodotti, mentre le altre le teniamo sempre fisse, la Spaceman era ed è una birra innovativa e lo continua ad essere per il costante perfezionamento dei nostri metodi produttivi. Dopo tempo c’è molta soddisfazione, ovviamente, da parte nostra, ma è anche perché è nato tutto da un’idea chiara su cosa volevamo fare, su come impostare l’impianto, avviare il birrificio e comunicarlo.  Oggi sento della responsabilità, è un momento storico pieno di responsabilità ed è necessario continuare a fare i passi in avanti e dare solidità alla nostra idea. Questa riguarda anche il non limitarci a quello che abbiamo creato ma continuare a confermarlo. Se oggi possiamo permetterci di fare nuovi investimenti è anche perché grazie alla storia di Spaceman abbiamo più fiducia in quello che sappiamo fare”.

 

Dopo tempo c’è molta soddisfazione, ovviamente, da parte nostra, ma è anche perché è nato tutto da un’idea chiara su cos volevamo fare, su come impostare l’impianto, avviare il birrificio e comunicarlo.  Oggi sento della responsabilità, è un momento storico pieno di responsabilità ed è necessario continuare a fare i passi in avanti e dare solidità alla nostra idea. Questa riguarda anche il non limitarci a quello che abbiamo creato ma continuare a confermarlo. Se oggi possiamo permetterci di firmare un finanziamento con la banca per l’acquisto di un nuovo capannone è perché non abbiamo più paura che Spaceman non piaccia più nei prossimi anni, ci dà fiducia in quello che sappiamo fare.

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Le birre artigianali che hanno fatto la storia del movimento italiano, raccontate dai loro creatori, le puoi stappare qui

 

L’immagine di copertina, le fotografie e i set sono a cura di Ginevra Romagnoli, che trovate qui

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