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Ginevra Romagnoli x Beeer Mag. 2022 ©

Cercavo la mia tradizione: Valter Loverier e la creazione di Nebiulin-A

Come spesso capita, i borghi sparsi nelle vallate italiane sono culla di piccole realtà artigiane che, in maniera silenziosa, coltivano e rinnovano i saperi, agendo in contemporanea come difensori e innovatori delle tradizioni, a volte inventandone direttamente di nuove. Marentino è il piccolo comune di poco più di mille abitanti, a venti chilometri da Torino, in cui Valter Loverier dal 2009 produce birre artigianali che parlano di tempo, di attesa e del momento opportuno in cui agire. Nei laboratori di Loverbeer, ispirato dalla tradizione belga e del nord Europa, Loverier gioca con le stagioni e i frutti, studiando le loro interazioni dentro e fuori le botti, ricostruendo un’avanguardia delicatamente intrecciata col territorio. Un approccio che si carica di toni magici, e forse inspiegabili, alla base delle fermentazioni miste e selvagge e della dedizione, totale, che serve per creare birre come la Nebiulin-a: “Tutto nasce dal fatto che volendo fare questo tipo di birre ho pensato di dovermici dedicare al cento per cento”, ci racconta, “ho sentito che fosse necessario fare un po’ come il mio mentore Cantillon 100 anni dopo e creare in un paese come il nostro una tradizione che ancora non c’era. Si tratta veramente di una scommessa particolare perché la strada a questo tipo di birre artigianali non era e non è ancora aperta”.

Tutto nasce dal fatto che volendo fare questo tipo di birre ho pensato di dovermici dedicare al cento per cento, ho sentito che fosse necessario fare un po’ come il mio mentore Cantillon 100 anni dopo e creare in un paese come il nostro una tradizione che ancora non c’era

Già dal primo anno, Loverier inizia a maturare l’idea di comporre un tipico blend fra diverse annate, alla maniera delle Geuze belghe, per dare i natali alla Nebiulin-a, la sua birra più lunga e complessa (almeno in termini produttivi). Nebiulin-a si costituisce quindi come un ibrido, dai tratti unici e personali, che mescola tre annate consecutive di Bieres du Lambic, come chiama le basi di partenza, per incrociare poi termini di Sour, Grape Ale, Wild e Barrel Aged. Ad agire sono tanti e diversi processi, ma sono soprattutto le storie – di lieviti presenti e futuri, di frutti, di stagioni e di territori – che si mescolano fra loro, portando la bevuta su un’acidità vivace nella sua gioventù, per poi strutturarsi e trasformarsi nel tempo: “Per la Nebulin-a, paradossalmente è nata prima la birra dell’idea ma semplicemente perché, come nei Fruit Lambic, si parte dalla preparazione della base e, poi, si caratterizza con la frutta. Ho iniziato a fare queste basi già nel 2009, durante il primo anno di apertura, e già dalla seconda-terza cotta di queste che chiamo Bieres du Lambic, ho iniziato a collezionarle e a utilizzarle per fare le prime produzioni di BeerBrugna, di Press Perdu, ecc.. Da lì però è nata l’idea di provare a tenere qualche cotta da parte per fare qualcosa che potesse essere un tributo alle Geuze che, tipicamente, sono composte da tre annate blendate tra loro, ma con la mia interpretazione. Ho selezionato quindi una di queste produzioni, spostandola in barriques dedicate e, così, ho fatto i due anni successivi. Ho cominciato, nel frattempo, a maturare l’idea su come avrei voluto caratterizzarla e questo mi ha portato a voler celebrare quella che era la mia regione di provenienza”.

 

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Il territorio e la storia della Nebiulin-a non si riconosce solo da un punto di vista geografico, ma parte dalle sue radici e le reinterpreta, partendo da una tradizione contadina, dai ricordi di un mondo che, forse, è sempre più lontano, più lieve, e che la pratica artigiana tende a preservare e a rivisitare: “In queste zone si faceva un vino che veniva chiamato in vari modi, fra cui Nebiulin. Era un vino rosé, anche questo fatto a partire dall’uva di Nebbiolo, ma creato per risultare molto più beverino e fresco. In qualche modo, però, riusciva a mantenere il sapore intrigante dell’uva. Ho pensato di ispirarmi proprio a questo tipo di bevanda, non solo per il nome ma anche per l’idea che volevo dare a questa birra in termini di freschezza”.

Questa riflessione mi ha portato a scegliere l’uva più pregiata che c’è, soprattutto nella produzione del vino più pregiato del Piemonte e, cioè, il Barolo”, prosegue Loverier, “Sono andato a cercare dell’uva che fosse al massimo della qualità e, così, la mia strada ha incontrato quella della Cascina Monfalletto della famiglia Cordero di Montezemolo. Mi hanno fatto assaggiare tutti i loro mosti e ho fatto la mia scelta. Il quarto anno sono andato a inoculare quest’uva come se fosse uno starter, un po’ come accade in una Kriek che, però, usa le amarene. Ho aspettato un tempo che ritenevo fosse opportuno, diciamo quindi intorno all’inverno, dopodiché ho incominciato a imbottigliare questa prima edizione di mille bottiglie massimo. La prima edizione è finita tutta negli Stati Uniti e soltanto pochissime casse sono riuscito a trattenerle e a distribuirle in Italia. Qualche mese dopo ero in viaggio negli Stati Uniti e un mio cliente mi portò dentro un bicchiere di Loverbeer proprio la Nebiulin-a per farmela assaggiare. Per me è stato, davvero, come ricevere un regalo”.

 

La filosofia del birrificio comprendeva anche l’idea di creare un prodotto che più complesso ma non fine a se stesso, voleva essere qualcosa di strutturato e di interessante ma a cui potessero un po’ tutti avvicinarsi. L’equilibrio è fondamentale. La particolarità della Nebiulin-a credo sia nella maggior parte del gusto che esprime, che può veramente avvicinarsi a gusti simili al vino pur rimanendo sempre riconoscibile, invece, la sua natura di birra.

 

I passaggi produttivi di Nebiulin-a sono una caccia a un equilibrio che attraversa gli anni, in cui si lavora di aggiustamenti minimi più che ribaltamenti e, poi, studio delle proporzioni, della stagionalità dell’uva e del suo ruolo nella fermentazione e nella componente gustativa. La coesistenza fra micro organismi, inoculati attraverso la flora batterica scelta o incastonati fra le doghe delle botti, elaborano il prodotto, mentre Valter Loverier si incarica della conduzione dell’orchestra, la cui mano incide con la forza e necessità che si richiede perché il ritmo venga mantenuto sulle giuste tonalità: “Negli anni avevo messo a punto da homebrewer una ricetta che potesse essere adatta all’invecchiamento, qualcosa che fosse una composizione magari non come il Lambic ma che mi desse più sostanza vivace e, contemporaneamente, potesse essere più lenta nell’evoluzione in bottiglia o in fusto. I luppoli che utilizzo, per questo motivo, sono molto vecchi, dai sette ai nove anni, così che perdano la qualità amaricante per non spostare il bilanciamento con il Sour e con gli ingredienti che andiamo a aggiungere, ma mantengano il loro naturale compito conservante. Parto, quindi, da questa ricetta, senza uva, e la lascio riposare fino al terzo anno di blending. L’uva, pigiata e diraspata, viene poi inserita all’interno del blend facendo ripartire la fermentazione fino a ottenere il prodotto finale. Ovviamente si tratta di fare assaggi, di fare bilanciamenti, studiare le proporzioni in base anche e soprattutto al gusto e al livello di invecchiamento. La cosa un po’ fondamentale per noi – e questo vale per tutte le nostre birre – è che lasciamo lavorare moltissimo i lieviti per produrre esteri e non pastorizziamo l’uva”.

Materia viva, quindi, che si mescola alle pratiche artigianali più classiche, direttamente dipendenti dai cicli e dalle loro caratteristiche naturali. Una scelta che implica anche l’ingresso in un diverso spazio di comprensione, che riguarda idee, valori, gusti ma, soprattutto, il lavoro di raccolta sullo sviluppo e le evoluzioni delle materie prime. Una documentazione viva sui cambiamenti e sull’approccio artigianale, la sua tracciabilità a partire dalle annate di blend (indicate in oro sull’etichetta) e quelle della vendemmia  (in rosso): “Cerchiamo di preservare un metodo molto tradizionale nella nostra produzione.  Il nostro impianto ha metodologie di produzione che si rifanno ai metodi più antichi: il filtraggio nella maggior parte dei casi avviene appunto per decantazione quindi lasciamo al freddo la birra come si faceva una volta, sfruttando il freddo dell’inverno e la temperatura sotto zero per far sì che i residui in sospensione precipitino sul fondo. La filosofia del birrificio comprendeva anche l’idea di creare un prodotto che più complesso ma non fine a se stesso, voleva essere qualcosa di strutturato e di interessante ma a cui potessero un po’ tutti avvicinarsi. L’equilibrio è fondamentale. La particolarità della Nebiulin-a credo sia nella maggior parte del gusto che esprime, che può veramente avvicinarsi a gusti simili al vino pur rimanendo sempre riconoscibile, invece, la sua natura di birra”.

Puoi acquistare la Nebiulin-a di LoverBeer qui

Le birre artigianali che hanno fatto la storia del movimento italiano, raccontate dai loro creatori, le puoi stappare qui

 

L’immagine di copertina, le fotografie e i set sono a cura di Ginevra Romagnoli, che trovate qui

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