Matt Boder | BlackLab Brewery

In un mattino con poco sole ma tanta sete abbiamo incontrato Matt Boder, proprietario insieme alla moglie Jing, di BlackLab un birrificio moderno situato nel cuore pulsante di Barcellona, a pochi passi dal mare e dal quartiere della Barceloneta. Lo abbiamo incontrato per provare un po’ della loro produzione di craft beer e per farci raccontare la storia di come, un ragazzo del Minnesota si sia ritrovato a gestire un birrificio nella Spagna più ribelle.

 

D: Ciao Matt, quando hai iniziato a occuparti di craft beer e dove è iniziato tutto?

Matt: Sono degli Stati Uniti, originario del Minnesota. Le cose di solito in Minnesota arrivano più tardi rispetto alla costa. Quando avevo ventuno anni, circa il 1998-1999, stavo iniziando a sviluppare una passione per la birra artigianale e, com’è normale, eravamo ancora in quella fase in cui ci piaceva più berla, che farla. Un sacco di gente a quell’epoca stava iniziando a prodursi la birra a casa, così abbiamo iniziato anche noi, piano piano, a estendere la produzione su scala maggiore fino ad arrivare qui.

Come sei arrivato a Barcellona?

Ho incontrato mia moglie Jing, che è spagnola con origini asiatiche, a Chicago quando stavo studiando li. In quel momento ero veramente preso dal mio hobby di fare birra, ci impiegavo un sacco di soldi, di tempo ed energie. Però negli Stati Uniti è difficile emergere perché c’è tanta competizione, con birrifici che hanno anche più di vent’anni, così quando abbiamo deciso di vivere a Barcellona abbiamo voluto provare il progetto BlackLab qua. Abbiamo iniziato a fare provare la nostra birra alle persone, e, via via, con il loro apprezzamento siamo riusciti a imporci come realtà artigianale con un’impronta americana.

La birra artigianale in questo periodo si sta finalmente imponendo sul mercato non più solo USA e Uk.

Sì, l’Italia e la Spagna al momento sono una delle frontiere della craft beer. Forse dietro solo la Gran Bretagna ma, poco a poco, sono sicuro che recupereremo terreno.

Siamo stati a Birra 08 e Barcellona Beer Company, anche qui in Spagna la rivoluzione artigianale sembra ormai partita.

Sì, in Spagna in generale ma è a Barcellona e in Catalogna che si sta effettivamente imponendo come una realtà d’avanguardia. Barcellona ha un sacco di cose che incentivano questo mercato (turisti) mentre il mercato locale è ancora piccolo e diffidente ma sta crescendo lentamente. Però qui c’è ancora tanta possibilità di crescita rispetto ad altre città più piccole.

 

 

Mentre la difficoltà in Usa è legata al fatto che sono 40 anni che si fa birra mentre il problema in Europa è che un fenomeno nuovo, e serve prima di tutto l’educazione della clientela, il prepararla a provare differenti tipi di birra.

L’educazione della clientela è la prima cosa da fare in un mercato così giovane. 20-30 anni fa negli USA i pub offrivano già una bionda, una stout, una brown ale e una pale ale. Ed è stato difficile abituare i clienti a nuovi gusti ma, ora, la clientela è abbastanza consapevole di ciò che vuole bere. Al momento BlackLab ha un’offerta sia in inglese che in spagnolo ma ci stiamo accorgendo che ora anche il mercato interno comincia a essere sempre più interessato e volenteroso nel provare nuove birre. Facciamo flyers, parliamo con la gente e funziona, ed è un buon modo per capire e anticipare anche quello che sarà il futuro di questo mercato.

Anche la scelta della Barceloneta, una delle zone più movimentate della città, non deve essere stata casuale, sorprende comunque poter trovare un luogo più chill e di ricerca come BlackLab mentre intorno impazza la fiesta

Dipende dove sei, se sei alla spiaggia sì. Noi abbiamo un interessante posizione fra la Barceloneta e il centro. Ci sono molti vantaggi e possiamo tenere la musica alta a tutte le ore perché non abbiamo vicini; ma hai ragione è un posto insolito ma ciò che produciamo è unico e penso che, per questo, attiri la gente. Abbiamo poi una clientela molto diversa: famiglie, ragazzi, catalani, spagnoli, turisti, festaioli e amanti della birra. Un conglomerato unico che ci fa credere nelle potenzialità di BlackLab.

Quanto è importante essere qui? Gli altri birrifici hanno un legame fondamentale con la città e tu, invece, che sei americano a Barcellona, come vivi questa situazione?

Penso sia molto facile connettersi con una città come Barcellona. Questo è il motivo per cui molte persone si trasferiscono qua da tutto il mondo. Il business è buono, c’è un buon clima, spiagge e poi montagne. C’è un’incredibile cultura gastronomica che è un valore aggiunto per la craft beer. È un buon ambiente dove provare e sperimentare, anche nella birra. Ci sono un sacco di ingredienti unici, possibilità di tentare con la frutta e le spezie, un crogiolo di combinazioni praticamente uniche che ci ha spinto a fare di Barcellona la nostra città.

 

 

Creare nuove birre è un aspetto fondamentale, così come nell’arte pariamo di processo creativo, qual è il tuo?

Ho un enorme numero di ricette da un sacco di tempo. Sai magari parto, poi mi viene un’idea e scrivo una nuova ricetta sul momento. Decido di aggiungere un po’ di questo o di quello. Con il jalapeno, per esempio, ho cominciato a sperimentare questa birra da anni finché non ho avuto questo ricordo di questa gelatina che mangiavo quando ero bambino in Minnesota, cosi mi sono detto la prossima volta ce lo aggiungo. Da qui è nata la ricetta della Fifty Fifty, una delle più ricette amate. Sono quindi le piccole cose a far esplodere la mia creatività e mi lascio ispirare… una foto, un cartello in strada mi può portare un’idea nuova, just the flow.

C’è una forte influenza asiatica nelle ricette.

Lo facciamo nel cibo, lo facciamo nel the. Cosi si cerchiamo di incorporare queste influenze nella birra abbiamo una birra con il cilantro, con il pepe, ci lasciamo ispirare dalle culture che ci appartengono.

La tua offerta è quasi esclusivamente tap e in lattina, che è un segmento che si sta sviluppando parecchio negli ultimi anni.

La birra in lattina negli USA è fra le più vendute e, ora, sta iniziando a prendere anche qui. Le lattine sono meglio per il prodotto; la luce non entra, neanche l’aria, mentre nelle bottiglie un po’ c’è questo rischio e non tutte le birre beneficiano dell’ossigenazione. Quindi le lattine sono meglio, ma non è facile convincere la gente che in latta possono rendere quanto nel vetro e che non significa necessariamente che si tratti di una birra economica.

Tendenzialmente la lattina è il simbolo di, come dici tu, birra economica, creata per una sbronza rapida e indolore. Come pensi la gente possa scoprire il mondo della birra artigianale? Quello che mi sembra è che ci sia ancora un mondo di nicchia, relegato a pochi, come pensi si evolverà nel futuro?

La nostra location ci aiuta in due modi: abbiamo la possibilità di offrire traditional beers per gente “normale” e la roba un po’ più di ricerca come la Fifty Fifty. Abbiamo questi due tipi di clientela, quella ricercata e quella comune. La voce gira. Si espande col tempo. Avere un buon prodotto è importante. La birra deve essere buona e il sapore pulito. È questo è il divertente: il mercato è giovane e pieno di possibilità.

 

Il mondo della birra artigianale è un mondo profondamente democratico, se fai una birra che non piace rischi di uscire immediatamente dal mercato ma è, contemporaneamente, un metodo di connessione fra le persone. Per chi produce è anche una responsabilità. Come ti senti nell’essere un elemento attivo in questo processo?

La birra è, sicuramente, uno dei più antichi metodi di connessione, ed è una delle cose che mi piace di più di questo lavoro: magari c’è routine, ma poi le persone provano la nostra birra. Noi produciamo la birra qua, la vendiamo qui e. abbiamo feedback diretto. A volte lavoro al bar e parlo con le persone, gli faccio delle domande e li ascolto per crescere ancora e sperimentare nuove birre che possano incontrare i loro gusti e considerare le loro opinioni.

Riguardo le grafiche della birra, il simbolo della tua birra, del tuo locale. Ha una storia?

La genesi del nome è che abbiamo un labrador nero. È il nome del birrificio è, in fondo, la versione compressa di black labrador. Quando siamo partiti non avevamo un’idea per il logo, persone questo era semplice, forte, esattamente quello che cercavamo. Le persone lo riconoscono e per questo lo mettiamo sulle lattine senza grandi lavori, funziona, e le persone ci seguono.

Abbiamo parlato della tua famiglia e delle tue relazioni con le persone. Quanto conta nel tuo lavoro questo contatto costante?

Questa è una delle cose che mi piace di più: avere contato diretto con le persone che consumano il mio prodotto e mi fa piacere quando sento apprezzamenti. Alla fine della giornata dobbiamo fare profitto, anche perché siamo un business giovane con le sue spese. Siamo sul mercato da quattro anni e mezzo ma, al momento, non pensiamo tanto ai costi, perché vendiamo tutto qua: non ci sono distributori, una catena che aumenti il prezzo del prodotto, cosi posso buttarci tanta frutta, senza preoccuparmi dei costi, però sì, avere in giro mia moglie, quando mi vede esagerare a volte mi sgrida (ride)…ma è un onore per me essere un birraio. È veramente cool, perché dipendiamo solo da noi stessi senza qualcuno che ci dica cosa fare o come farlo. Se una birra non sembra funzionare o non ci convince semplicemente la togliamo dal menù finché non troviamo la ricetta che ci rappresenta meglio.

Così cambi la tua birra ogni giorno?

(Ride) La ricetta iniziale è sempre la stessa ma sì, qualcosa cambia, forse una macchina potrebbe individuare la differenza nel dosaggio ma un uomo non credo. Abbiamo 3 o 4 birre che teniamo sempre mentre le altre dipendono dalla stagione. Cerchiamo di lanciare sempre qualcosa di nuovo, come ad esempio la watermelon bier che debutterà quest’estate. È anche questo il bello di essere un birrificio artigianale, non siamo costretti a fare sempre le stesse birre perché ci sono distributori che le richiedono. I consumatori amano la Claudia ma a fianco possiamo produrre altre cose, senza paura, con la birra sempre al centro.

 

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