Gemma di Birra la Dama ci racconta la situazione a Brescia e le difficoltà che stanno incontrando

L’emergenza sanitaria che sta coinvolgendo il nostro mondo e cambiando la vita di tutti i giorni ha avuto conseguenze anche nel mondo produttivo della birra artigianale. #bevoacasa è un’iniziativa lanciata da Beeer Mag per sostenere il settore e aiutarlo a raccontare la situazione che sta vivendo. La prima intervista arriva direttamente da Birra La Dama di Brescia, una delle zone più colpite, e a risponderci sono i ragazzi del birrificio Gemma, Davide, Roberto e Fabio che, in questo momento terribile, ci raccontano la loro situazione.

Birra La Dama ha sposato il nostro progetto dell’acquisto sospeso, una modalità che può dare un aiuto concreto e immediato a queste realtà che rischiano di sparire. Per sapere come sostenerli contattali via mail (info@birraladama.it) o sulla loro pagina Facebook.

 

Ciao Gemma, come va la situazione e  quali accorgimenti state prendendo?

Il nostro birrificio si trova proprio in provincia di Brescia, uno dei comuni più colpiti d’Italia. La situazione qui è molto grave, come si vede in tv. All’inizio, come tutti, non avevamo capito la gravità della situazione. Dalla prima settimana di marzo abbiamo iniziato a ricevere messaggi da fonti ufficiali che ci supplicavano di stare in casa, di non muoverci se non per motivi di necessità, perché gli ospedali di Brescia erano pieni e la situazione stava per diventare insostenibile. Se ci fossimo ammalati o se avessimo avuto bisogno del Pronto Soccorso per qualsiasi motivo, ci sarebbero state serie probabilità di non essere assistiti in maniera adeguata. Così nel giro di pochissimo ci siamo chiusi in casa e, oltre a smettere di lavorare, abbiamo smesso anche di fare passeggiate, di andare al parco (unico e ultimo sfogo per chi, come me, ha dei bambini), di vedere genitori e nonni, di incontrare qualsiasi persona.

Sono una Tecnologa alimentare e, oltre a gestire il birrificio, sono consulente e ispettore presso aziende alimentari di piccole e medie dimensioni. Ho smesso da subito di andare dai miei clienti a lavorare, per evitare rischi di contagio, ma alcuni di loro non si sono mai fermati. Stanno lavorando tutti con ritmi massacranti, sabato e domenica comprese, per garantire cibo agli ospedali e a tutti noi che ci siamo fermati. È davvero dura ricevere ogni giorno telefonate di amici e conoscenti: su chi ha la fortuna di trovare un letto libero in ospedale e viene dimesso dopo essere guarito, chi guarisce dopo la quarantena in casa propria (anzi nella propria stanza, isolato anche dai propri familiari), chi purtroppo viene trasferito in altre zone e dopo qualche giorno non ce la fa. Parliamo di persone giovani: 37, 49, 54 anni, senza dimenticare gli anziani. Riceviamo ogni giorno notizie dei decessi. I nostri nonni nelle case di riposo stanno scomparendo come se fossero mosche. I loro vestiti riposti in sacchi neri della spazzatura, uno a fianco all’altro, con scritto un biglietto indicante il nome di cui appartenevano in attesa che i parenti vengano a ritirarli. E gli altri… tanti morti nelle proprie case perché all’ospedale non c’erano posti o erano troppo anziani per averne diritto. Genitori e nonni di amici ….caricati su camion e portati via….chissà dove…”riceverete le ceneri quando verranno cremati” gli viene detto. Semplicemente agghiacciante.

 

Da quando è partito il problema e la chiusura delle attività come vi state comportando a livello aziendale? Le produzioni si sono fermate? Siete riusciti a continuare?

Con la chiusura dei locali ci siamo ovviamente fermati, abbiamo proseguito per qualche giorno con la vendita diretta in birrificio ai privati ma poco dopo abbiamo deciso di fermarci del tutto. Diversi birrifici artigianali hanno deciso di proseguire con le consegne a domicilio, noi essendo in una zona particolarmente colpita, abbiamo eticamente scelto di non farlo in queste settimane, per salvaguardare la salute di tutti, autisti compresi, per evitare spostamenti evitabili e soprattutto per rispetto a medici, infermieri e amici che stanno lottando in prima linea rischiando ogni giorno la propria vita.

A livello produttivo, avevamo fatto una bella scorta di birra (produciamo 7 linee) perché le cose stavano andando bene. Essendo un brand nato a Roma, avevamo un discreto mercato nella capitale e nel mese di febbraio avevamo lavorato davvero bene. Quindi, per non rimanere senza, avevamo prodotto tutte le tipologie di birra prima del fermo totale. Abbiamo i magazzini pieni di bottiglie e fusti, purtroppo. Chissà quando potremo iniziare a rivenderla. Bisognerà vedere quando potranno riaprire i locali e soprattutto in che condizioni economiche riprenderanno. Siamo in contatto costante con tanti dei nostri clienti, aspettano tutti che questa bufera passi, esattamente come noi. Ma i debiti si accumulano, si rimandano, nei migliori dei casi. Come andrà a finire nessuno lo sa.

 

 

Come sono le vostre previsioni in questo momento? Di cosa avete bisogno?

Non riusciamo a fare previsioni purtroppo. Il decreto “Cura Italia” non ci è stato d’aiuto: non avendo dipendenti in quanto siamo tutti soci lavoratori non possiamo “godere” dei benefici della cassa integrazione; avendo il birrificio in un capannone industriale e non in un negozio non possiamo godere del beneficio relativo ai canoni di locazione. Possiamo solo contare sul buon cuore dei proprietari del capannone e, forse, rimandare le rate che tuttavia prima o poi dovremo pagare, sebbene non fattureremo praticamente niente, per chissà quanto tempo. Appena la situazione nel nostro comune e in quelli limitrofi migliorerà contiamo di riprendere con la vendita ai privati, sicuramente avremo bisogno di pubblicità per questo, in modo di aumentare il panel dei nostri clienti e avremo bisogno di tutta la comunità cittadina delle zone limitrofe al birrificio. Un supporto locale è sempre la miglior cosa, e su questo abbiamo sempre puntato, quello di creare rete che interagisca sul territorio.

Quali sono il tipo di danni che state subendo? Quanto è grave la situazione?

Il rischio più grave è quello di non avere più una liquidità per ripartire alla fine di questo dramma nazionale e mondiale. Per un’azienda familiare come la nostra dove gli investimenti sono stati molti, il rischio è quello di perdere tutto ciò che si è costruito in anni di duro lavoro.

Un supporto locale è sempre la miglior cosa, e su questo abbiamo sempre puntato, quello di creare rete che interagisca sul territorio.

Quali aiuti vi sono stati forniti e quali iniziative si potrebbe prendere per aiutare il settore?

Purtroppo non ci è stato fornito alcun aiuto. Sono socia dell’Associazione Donne della Birra e devo dire che come microbirrifici siamo tutti nella stessa situazione. Tanto tempo per pensare, tanta birra che aspetta solo di essere bevuta. Per quanto riguarda le iniziative, possiamo dire che si potrebbe far molto già con poche piccole manovre burocratiche. Poter organizzare liberamente senza costi di autorizzazioni delle feste, eventi, per poter vendere i prodotti rimasti fermi nei magazzini, ad esempio. Aiuterebbe molto, inoltre, se si potessero stornare le tasse come le accise su prodotti non venduti o che si venderanno in futuro. Sono piccole cose che però possono far molto.

Questi giorni di contenimento sono anche un mezzo, nonostante tutto, per ripensare il futuro. Come e cosa vorreste che accadesse nel mondo delle birre artigianali? Cosa dovrebbe cambiare per rendere il settore ancora più forte?

Il nostro settore non è molto forte, non lo era prima e non lo è adesso. Purtroppo, soprattutto nella nostra zona , la cultura della birra artigianale italiana non è ancora così diffusa. Il consumatore è ancora abituato alla birra industriale, deve essere convinto, deve essere educato alla differenza tra i due prodotti. Noi stavamo puntando tanto sulla formazione, con visite guidate in birrificio, cene didattiche e corsi di formazione (doveva partirne anche uno in aprile organizzato dal Comune di Bedizzole, dove abbiamo il birrificio). Sarebbe bello se, spinti dalla volontà comune di far rinascere economicamente l’Italia, questa tragedia aumentasse la sensibilità del consumatore nei confronti di questo prodotto e se, ogni singola provincia, riuscisse a valorizzare i birrifici del proprio territorio. Una grande fetta del mercato è comunque nelle mani dei distributori, molti dei quali commercializzano birre estere con le quali possono ottenere maggiori margini e grandi volumi. Sarebbe bello che, anche i distributori italiani, decidessero di favorire maggiormente piccoli fornitori italiani a discapito dei grossi birrifici tedeschi, belgi, inglesi etc.

 

 

Sarebbe bello che ci fossero leggi che tutelassero i prodotti italiani non solo all’estero, ma anche in Italia, sarebbe bello fare come in altri Paesi dove il prodotto interno è tutelato da minori gravi fiscali a confronto di quelli comprati all’estero. È vero che si parla di Europa, di mercato libero ed aperto, ma promuovere maggiormente prodotti italiani non è contro natura né contro il sistema europeistico. Faccio un piccolo esempio molto semplice: in Francia c’è una legge che obbliga le radio a passare maggiormente musica di produzione francese piuttosto che estera. Lo stabilisce una legge del 1994 sulla “tutela della produzione musicale nazionale”. Non vietano il passaggio di produzioni estere ma sponsorizzano maggiormente il mercato interno, così da poter dare maggiore visibilità e quindi vendita agli artisti territoriali. Perché gli altri si tutelano e noi rimaniamo sempre indietro a guardare? Questo di certo non aiuta i microbirrifici a competere con l’industria e i mercati esteri che, spesso, hanno accise bassissime e tassazioni agevolate. È normale che un cliente preferisca pagare meno un prodotto estero se lo ritiene uguale a quello italiano. Sarebbe più semplice se il cliente finale fosse maggiormente informato sulle differenze, sul duro lavoro che c’è dietro a una birra, sui costi e le modalità che ci sono qui. Abbiamo una marea di controlli su tutti i prodotti utilizzati, sui materiali, sulle attrezzature, sugli scarti, controlli che necessitano dei costi aggiuntivi per avere un prodotto finale che arrivi sicuro e controllato rispetto ad altri Paesi comunitari e non. Scegliere di bere italiano, mangiare italiano, ancora meglio se locale tutelerebbe e salvaguarderebbe le nostre ricchezze.

Un altro grande aiuto potrebbe essere fornito dal governo con la tanto promessa e mai attuata detassazione e con la previsione di forme lavorative più flessibili con la possibilità di giungere gradualmente per step all’inserimento definitivo in azienda così da riuscire a valutare l’effettiva capacità e propensione al lavoro delle persone selezionate.

Altro cosa che sarebbe molto interessante da prendere come spunto dall’estero è il fattore di unione e aggregazione che alcuni birrifici, specialmente in Belgio, già fanno. La comunità sente molto vicini i birrifici, supportano attivamente tutte le attività che si svolgono in maniera gratuita e in maniera di volontariato. Molto spesso alcuni birrifici, e neanche pochi, non hanno un impianto di produzione proprio, ma sfruttano un impianto di produzione “locale”, ossia un unico impianto del comune messo a disposizione per più birrifici. Questo porta ad un abbattimento dei costi per tutta la filiera e un coinvolgimento lavorativo anche per la comunità. Non dico che si debba obbligatoriamente arrivare a tanto ma sarebbe molto bello se i microbirrifici facessero più unione e meno competizione fra loro, soprattutto nelle situazioni locali. Questo senza dubbio porterebbe le persone a scegliere prodotti più locali che di altre zone, con un allineamento e un livellamento di produzione per tutti.