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Ginevra Romagnoli x Beeer Mag. 2022 ©

Ho cercato la mia espressione nel luppolo: Agostino Arioli e la nascita della Tipopils

Potrebbe essere un racconto di tempi lontani, ed ovviamente lo è essendo Agostino Arioli fra i pionieri delle birre artigianali italiane, ma non è un racconto dal sapore di vecchio e, tanto meno, dai toni immutabili. La Tipopils è il racconto delle origini, di un mistico incontro fra il luppolo e un artigiano, ma anche quello della sua contemporaneità, di una evoluzione mai cheta. Siamo vicino a Como e la birra, tanto meno quella artigianale, in Italia ancora non esiste. O, meglio, esiste ed è immortalata dal Peroncino di Fantozzi alla tv, è la ‘bionda per la vita’ di un terribile spot fine anni ’90, ed è la bevanda refrigerante estiva. Agostino Arioli però ha in mente qualcosa di diverso che un viaggio in un luppoleto tedesco rende ancora più chiaro: “Il raccolto del ’96 è stato uno dei momenti in cui ho iniziato a conoscere più intimamente il luppolo. È lì che mi è scattata l’idea di usarlo in tutti i modi e ho cominciato a ragionare sul suo possibile utilizzo. L’illuminazione mia, se vuoi, è stata vedere questa operazione fatta sui Cask inglesi, è questo che racconto sempre, mi sono davvero chiesto ‘Ma se lì si mette questo plug di luppolo direttamente nella birra perché non posso farlo nei miei serbatoietti?’. La Tipopils nasce su una ricetta base per una comune Pils tedesca a cui a un certo punto, pochi mesi dopo la prima cotta, ho iniziato a fare questo dry hopping di luppolo, direttamente appeso – buttato in realtà, almeno all’inizio – per poi servirlo direttamente alla spina. Volevo che i bevitori sentissero il luppolo, il suo profumo e il suo sapore. Ho cercato il mio modo per esprimere questo suo carattere, volevo riportarlo perché in Italia in quel periodo ancora non esisteva”.

Volevo che i bevitori sentissero il luppolo, il profumo e il suo sapore. Ho cercato il mio modo per esprimere questo suo carattere, volevo riportarlo in vita perché in Italia in quel periodo ancora non esisteva.

Dopo anni passati come homebrewer clandestino, parte di un piccolo manipolo sparso per il paese (“Nell’85 quando ho cominciato forse eravamo io, Max Faraggi e altri tre o quattro fuori di testa” ricorda Agostino), nel dicembre del 1994 fonda Birrificio Italiano che, insieme a Birrificio di Lambrate e Baladin, costituiscono la trinità originale per la nascita della birra artigianale italiana. Il primo Birrificio Italiano, quello aperto ufficialmente al pubblico nel 1996 in forma di brewpub, si presentava con l’impianto a vista da cui, attraverso dei serbatoi, la birra veniva servita direttamente in spina. Un qualcosa che, all’epoca, aveva le sembianze di un’impresa futuristica e, in qualche modo, destinata a fallire.

I risultati, come ricorda lui stesso, infatti, non furono immediati. Un paese in cui non esisteva la birra non aveva neanche una schiera di bevitori. È proprio questo che rende l’idea dell’impatto, dell’importanza della Tipopils e di tutto il lavoro di Agostino Arioli, anche quando credere nella propria idea avrebbe potuto portare alla fine della propria attività: “Nel ’96 quando si parlava di Pils le persone si aspettavano probabilmente una Heineken, del mondo ceco o tedesco non c’era ancora la minima idea, per questo i primi approcci sono stati abbastanza difficili. Dopo un anno abbiamo dovuto ricapitalizzare, perché altrimenti saremmo falliti. All’inizio la gente era sconcertata, soprattutto in un posto come Lurago Marinone, perché la birra non era ghiacciata, era con la schiuma, era torbida, era amara, ci volevano dieci minuti per avere un bicchiere. Ma questo indipendentemente dal discorso Tipopils e del dry hopping. Era un problema legato alla birra artigianale in generale, molti allora non credevano che la birra si potesse fare in piccolo e, soprattutto, in Italia”.

 

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La forza più grande di Agostino Arioli però, non è stata ‘solamente’ aggiungere l’infusione e la potenza aromatica del luppolo in uno stile di birra canonico, ideale per lunghe sessioni di bevuta ma con un carattere spesso direzionato al malto o alla leggerezza ma, di fatto, credere nella propria ricerca che, nel caso della Tipopils e di gran parte della produzione di Birrificio Italiano, riguarda un continuo sperimentare e una profonda conoscenza – quasi sciamanica – dei passaggi artigiani. Nei confronti della Tipopils questo significa lavorare alla riconoscibilità attraverso gli anni, le stagioni e i raccolti, per conferire alla delicatezza generale una spinta aromatica decisa, in costante bilanciamento: “Intorno alla Tipopils ci sono aggiustamenti continui, perché adatto la ricetta a seconda dell’annata del luppolo, ai tipi di malto disponibili.. si tratta di una birra che subisce delle fluttuazioni abbastanza naturali. Ho sempre lavorato per la sua riconoscibilità attraverso costanti degustazioni. Cerco di coltivare l’autenticità, la fragranza, la freschezza non solo della birra ma anche del mio approccio, che voglio che sia molto personale e parli delle mie idee. Questa è la mia filosofia, le birre non devono essere perfette, io voglio birre che abbiano una loro anima”.

Il nostro compito come birrai è dargli un carattere, io l’ho cercato nell’espressione del luppolo, ognuno lo esprime a modo suo, io ho espresso la mia natura di bevitore da pub.

Il pregio della Tipopils, in fondo, non è stato solo quello di essere stata una birra pionieristica, di aver sperimentato e anticipato le possibilità del luppolo prima dell’esplosione delle IPA americane ma, anche, la capacità di confermarsi nel tempo, di essere anticipatrice e insieme attuale, dando a pochi ingredienti ben precisi un gusto, non solo in Italia ma anche nel mondo senza, per questo, cambiare voce: “La Tipopils per me è stata una rivoluzionaria delle birre normali perché ha un profumo, un equilibrio, che, diciamo, è raro trovare in birre con una gradazione normale. Ha insegnato, credo, che le birre semplici da bere sono e continuano a essere buone o che, comunque, ce n’è un gran bisogno. Il nostro compito come birrai è dargli un carattere, io l’ho cercato nell’espressione del luppolo, e ognuno lo esprime a modo suo, io ho espresso la mia natura da bevitore da pub. Ci deve essere sempre una persona e la sua espressione dietro la birra artigianale. Ho iniziato come artigiano e, per questo, non voglio che oggi l’artigianale diventi un’alternativa alla birra industriale, che conquisti cioè quel mercato. Per me la birra artigianale deve rimanere un prodotto speciale, che mantenga la sua dimensione, attraverso cui raccontare e spiegare il lavoro che c’è dietro, le ricerche e le idee. Credo che le persone si siano innamorate della Tipopils anche per questo”.

Nonostante gli inizi difficoltosi, pieni di incognite e imprevisti, la Tipopils si è configurata come un simbolo e, contemporaneamente, un’icona del movimento, strutturandolo e facendolo conoscere fuori dall’Italia. È diventata una variazione di stile (l’Italian Pilsner) ormai diffuso dappertutto, in cui ritrovare il passato, ma anche il futuro del mestiere artigiano: “Sono felice che la Tipopils venga celebrata e continui a raccogliere entusiasmo dappertutto, per fortuna, questo riguarda anche le altre birre di Birrificio Italiano. Mi ha permesso di continuare a viaggiare, di incontrare nuove persone che mi chiedono di fare collaborazioni, di organizzare Pils Pride un po’ ovunque, mi ha permesso di vedere come cresce il movimento e l’attenzione intorno a questo tipo di birre. C’è qualcosa che io amo meno, e cioè, la definizione di stile, io non sono un fan degli stili e credo che se non fosse stato così la Tipopils probabilmente non sarebbe mai nata. La definizione di Italian Pilsner non la sento effettivamente mia, gli stili non mi interessano perché sono cose che vanno studiate e poi si dimenticano, che se si fermano nella propria esecuzione elementare rimangono lì. La Tipopils è cambiata molto negli anni, così come sono cambiato anche io e i miei gusti. Ci sono sempre quelli che dicono ‘La Tipopils non è più come quella di una volta’ e io gli rispondo che accade perché oggi è meglio di quella di una volta”.

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L’immagine di copertina, le fotografie e i set sono a cura di Ginevra Romagnoli, che trovate qui

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