crak guerrilla birra artigianale

La birra come manifesto: Crak e lo scoppio della Guerrilla

Crak è uno di quei birrifici che non ha mai cercato una via di mezzo o una strada facile per raggiungere i propri obiettivi. Non l’ha fatto nel 2015 quando nella scena delle birre artigianali italiane, ormai satura di IPA, ha alzato il pugno chiuso e sganciato Guerrilla, o quando ha messo in discussione il modo in cui la birra esce dal birrificio arriva al bevitore. In mezzo la sfida dell’autoproduzione agricola per quanto riguarda alcune delle loro materie prime (in primis l’orzo), e le missioni nella valle di Yakima per scegliere direttamente i luppoli alla base delle loro birre. Guerrilla è sempre stata lì, a rappresentare un po’ tutta questa storia ma, soprattutto, la voglia di non accontentarsi e di rompere – rumorosamente – le convenzioni: “La Guerrilla”, racconta Claudio che, insieme a Giorgia, Anthony e Marco, ha fondato il birrificio, “È nata con l’obiettivo di diventare un manifesto su ciò che siamo e sul nostro modo di fare e interpretare le cose. È stata negli anni la nostra portavoce nella lotta per la qualità della birra, il nostro contributo a rivoluzionare il settore ma non solo, è il modo con cui supportiamo le associazioni locali, l’idea attraverso cui vogliamo portare un cambiamento positivo nelle nostre vite. I tanti pugni che oggi sono sull’etichetta vogliono rappresentare la diversità delle lotte, in cui ognuno di noi deve continuare a credere in quello che fa e a lottare perché accada. La Guerrilla per noi è questa lotta, ancora oggi ci dà questa forza”.

Dopo anni di cotte casalinghe e un’esperienza come brew firm, nel 2015 Anthony, Giorgia, Marco e Claudio decidono di fare un passo decisivo e aprire Crak partendo proprio dalla Guerrilla con la precisa intenzione di aggiungere una voce nuova a quella che, fino a quel momento, era la concezione delle IPA. Accanto alle grandi sperimentazioni e le grandi ricerche su ingredienti e fermentazioni, infatti, i ragazzi e le ragazze di Crak decidono di avvicinarsi alla nuova wave americana in fatto di freschezza ma, soprattutto, si accorgono di come la potenzialità sociale del ‘prodotto birra’ possa diventare anche un luogo di rivendicazioni, di dare un senso e un impulso trasformativo a ciò che fanno, anche se questo avrebbe potuto significare un grande rischio per loro e l’attività: “Abbiamo fatto un investimento importante per far partire il birrificio, prendere i capannoni, ristrutturarli, comprare l’impianto. Per partire tutto deve essere al top, devi essere pronto con i macchinari, le etichette, le bottiglie. Ogni tanto riguardiamo le foto della nostra prima cotta di Guerrilla e ricordiamo come quel giorno fosse pieno di preoccupazioni. Era una sliding doors a tutti gli effetti, solo dopo averla imbottigliata avremmo capito se ne sarebbe valsa la pena. Ci credevamo, ed eravamo sicuri di quello che stavamo facendo ma, allo stesso tempo, c’era la paura di cadere, che avrebbe significato, fra le altre cose, fallire economicamente”.

I tanti pugni che oggi sono sull’etichetta vogliono rappresentare la diversità delle lotte, in cui ognuno di noi deve continuare a credere in quello che fa e a lottare perché accada. La Guerrilla per noi è questa lotta, ancora oggi ci dà questa forza.

Superato l’ostacolo del battesimo, il cammino di Crak e della sua Guerrilla si concentra presto sul tipo di esperienza, e di miglioramento della ricetta, che si vuole dare al bevitore. Sin da subito è chiaro che, per distaccarsi dalle new IPA a pura imitazione che avevano invaso ogni spina del paese, fosse necessario concentrarsi sulle materie prime, sul modo in cui i luppoli potessero creare il bilanciamento che stavano cercando e, soprattutto, come mantenerlo attraverso le stagioni e gli anni, selezionando direttamente i luppoli dal loro luogo di origine. Scrivere, in qualche modo, il proprio impatto attraverso la comprensione della terra e dei suoi prodotti: “Quando lavoravamo come beer firm – e prima ancora a casa – le ricette avevano ovviamente una variabilità diversa. Siamo partiti cercando di fare una IPA secca, con un amaro tagliente ma che potesse avere un’esplosività non solo tropicale. Le cotte successive le abbiamo concentrate su questo perfezionamento ma ci siamo accorti che, per poterlo raggiungere, avevamo bisogno di fare un passo in più. A quel tempo mi ricordo che c’erano tantissime birre luppolate e che spesso tendevano a essere pesanti, probabilmente perché il malto ancora era preponderante. Quello che succedeva era che dopo due ti sentivi sazio. Con Guerrilla invece cercavamo una birra anche un po’ aggressiva e diretta ma con un corpo snello e una semplicità che stupisse anche per la sua leggerezza. Dal secondo anno, parlando con i distributori di materie prime, ci siamo chiesti se avessimo potuto scegliere noi il luppolo direttamente dal produttore, siamo andati così a fare la selezione in campo. Essere entrati in quel circuito, ritrovarsi nella valle di Yakima a selezionare i luppoli insieme a una manciata di birrifici da tutto il mondo, è stata una soddisfazione, abbiamo avuto bisogno di tempo e di studio per comprendere e capire il luppolo, per capire soprattutto come si svilupperà nella birra a partire dal momento in cui lo raccogli”.

 

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La ricetta si concentra così sulla combinazione – segreta – di luppoli, che conferisce alla Guerrilla una freschezza preponderante che, in poco tempo, assume perfettamente la filosofia di Crak (“La selezionabilità dei luppoli ci permette di essere più costanti. Ci concentriamo nella scelta dei luppoli più simili, a livello di gusto, a volte perfino meglio, rispetto all’anno precedente. Avevamo un’idea quando siamo partiti, a forza di bere e sperimentare abbiamo costruito quello che volevamo. C’erano discussioni intorno a come comporla ma la necessità di selezionare direttamente le materie prime ci metteva d’accordo tutti, ci si carica a vicenda quando c’è da produrre la Guerrilla questo perché è sempre stata più di un passaggio produttivo standard”). Un passo successivo viene fatto poi nel 2016, con la scelta di trasformarsi in birrificio agricolo e aggiungere un altro, e definitivo, passo verso il controllo della filiera, della riflessione sulle materie prime e sulla responsabilità – sociale, ambientale – di questa Guerrilla: “Dal terzo anno abbiamo finalmente iniziato a usare le prime produzioni del nostro malto e, da lì, sempre di più fino alla totale indipendenza. C’è un mondo dietro, coltiviamo 15 ettari direttamente vicino al birrificio e alcuni altri sparsi intorno a noi. Questo significa un cambio totale delle prospettive, farsi seguire da agronomi, fare analisi del terreno e del malto. Autoprodursi le materie prime ti fa avere una coscienza diversa su cosa stai facendo, non si tratta più solo contattare il distributore, chiedere una precisa marca, richiedere la quantità necessaria con le sue caratteristiche ma di partire dalla terra, uscire in trattore, fare le analisi, capire che cosa fare col terreno e con i semi che hai in mano. È una sfida che abbiamo colto un po’ di anni fa ed è davvero appassionante, penso anche che la differenza si senta, che caratterizzi sempre di più le nostre birre, specialmente nelle basse fermentazioni”.

Non solo però ricette o combinazioni far luppoli. A un certo punto la strada della Guerrilla prende coscienza della necessità di dare un nuovo, forte, colpo allo status quo. I ragazzi e le ragazze di Crak si rendono conto presto infatti che a nulla serve girare il mondo, coltivare orzo e frutta, ricercare il modo migliore per farli esprimere se la birra non viene trattata nel modo migliore una volta uscita dal birrificio. A finire nell’occhio del ciclone sono quindi i distributori, i trasporti e i rivenditori. Nel 2018 parte una mini campagna in cui, in maniera un po’ controcorrente, la grafica tagliente di Guerrilla e di tutte le altre birre viene coperta da un bugiardino sulle modalità corrette di conservazione, di utilizzo e di consumo. Insieme a queste indicazioni Crak diventa uno dei primi birrifici a inserire sugli sticker dei fusti e dei keg la data di imbottigliamento e di scadenza. È un’azione – politica – che promuove la riconoscibilità e la totale trasparenza intorno alla propria produzione. Una scelta che, nel 2020, porterà Crak a rivoluzionare tutto, staccandosi e gestendo direttamente i rapporti con i clienti, occupandosi della distribuzione e della catena del freddo, fino ad allora, un mistero nelle abitudini e delegata alla singola professionalità: “Con la buona riuscita di quella prima cotta abbiamo preso forza e coraggio, e siamo diventati anche più sicuri nel prenderci rischi se sono diretti verso un miglioramento. Abbiamo sempre creduto nei passaggi necessari per diffondere la qualità e questo ha comportato una riflessione su come trattare le birre e, quindi, sulla necessità delle spedizioni refrigerate. Ci siamo esposti tanto partendo da questo bugiardino sulla conservazione e utilizzo che ha costretto i venditori a informarsi o il medaglione di imbustamento e servizio. Guerrilla riguarda anche questa lotta per la qualità, per fare dei cambiamenti non solo per noi. Oggi le spedizioni refrigerate sono diventate la norma per molti i birrifici, anche in consegna a casa. C’è stato un cambiamento che, penso, abbia reso più felice anche il consumatore finale. Al tempo c’era chi non aveva il frigo – anche nel beer shop -, chi non ci credeva e distributori che non potevano mantenere la catena del freddo. Questo ci ha portato a volerla gestire da noi, come primi, vendendo diretti. È stato naturale: non puoi passare tutto questo tempo a ricercare i luppoli per le tue birre e poi non curarle successivamente. Questo significa anche più lavoro da parte nostra, creare dei panel, stabilire il periodo di qualità per il suo apice gustativo, dal confezionamento all’apertura. È una strada più difficile ma i cambiamenti che ci sono stati nella logistica una minima parte arrivano anche da questa sfida che abbiamo lanciato al sistema”.

Autoprodursi le materie prime ti fa avere una coscienza diversa su cosa stai facendo, non si tratta più solo contattare il distributore, chiedere una precisa marca, richiedere la quantità necessaria con le sue caratteristiche ma di partire dalla terra, uscire in trattore, fare le analisi, capire che cosa fare col terreno e con i semi che hai in mano.

L’impatto della Guerrilla, le sue rivendicazioni e scelte radicali, sono diventate per tutte queste ragioni un manifesto sugli intenti, gli obiettivi e il percorso per ottenerli. Raccolti intorno a questi pugni chiusi, a una freschezza dirompente, la birra di Crak continua a rappresentare un punto di vista inedito sulla produzione di birra artigianale in Italia. Rumoroso e radicale, ma che traccia in maniera univoca la visione di chi la produce, che si tratti di un’IPA o di un pugno chiuso, la Guerrilla sembra rimanere sempre lì, pronta a scattare verso una nuova sfida: “Dalla prima Guerrilla sembra passato molto più tempo di quello che è effettivamente trascorso. Sono, paradossalmente, solo sette anni, quasi otto, ma a volte ci sembrano venti, a volte molti meno. Ci sentiamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto, nel senso che ci sentiamo di non aver semplicemente aperto un birrificio ed esserci solo messi a fare birra, ma di aver investito il nostro tempo nel provare a fare qualcosa di più della birra. La Guerrilla ci accompagna, anche fuori dal birrificio ed è per noi, che l’abbiamo fatta nascere così per chi è dentro al birrificio anche da poco, una parte della nostra quotidianità, che continua ad accompagnarci in ogni momento”.

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Le birre artigianali che hanno fatto la storia del movimento italiano, raccontate dai loro creatori, le puoi stappare qui

 

L’immagine di copertina, le fotografie e i set sono a cura di Ginevra Romagnoli, che trovate qui

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