BrewDog birra beer punk james watt martin dickie
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Punk is Dead? BrewDog e la fine del sogno punk

La storia di BrewDog, dalla sua fondazione a oggi, è senza ombra di dubbio una delle più incredibili avventure della birra artigianale e non solo. Partiti a fare birra in un garage James Watt e Martin Dickie in poco più di dieci anni hanno creato un colosso mondiale con sedi produttive, brewpub e vendite in ogni parte del mondo, contribuendo direttamente alla rivoluzione artigianale non solo in UK e in Europa. La Punk IPA è per molte ragioni ancora oggi una delle birre più famose e importanti (per diffusione, gusto, iconicità) che conosciamo e che continuiamo a bere ma che, all’epoca, fu veramente uno tsunami di dimensioni epiche, in grado di sovvertire un intero sistema con la propria carica alternativa.

A distinguere BrewDog da tutti gli altri è stato sicuramente un approccio diverso al fare e comunicare birra che, alla tradizione e ai gusti inquadrati degli industriali, ha sempre opposto una visione alternativa di dichiarata matrice punk. Questo è da intendersi soprattutto nella sua versione di etica do it yourself, che vede nelle persone, nelle comunità e nel loro empowerment il punto di partenza e il fine stesso delle proprie azioni. Un’etica che, per oltre dieci anni, Watt & Dickie hanno portato avanti rifiutando i compromessi e utilizzando metodi poco ortodossi per comunicarlo. L’obiettivo è sempre stato quello di mostrare la propria differenza in maniera chiara e determinata impostando dei limiti fra i punk e gli ‘altri’. A quasi quindici anni dalla sua fondazione, però, l’enorme espansione e alcune scelte hanno mostrato come certe posizioni non sembrano essere forti e centrali come pretendevano di essere, arrivando probabilmente a ridefinire l’identità dei punk di Fraserbrurgh e l’idea originale da cui erano partiti.

 

Completamente ispirati da tutto ciò che è punk, abbiamo deciso di offrire una ribellione moderna contro le birre insapori del mercato di massa e una rivolta irriducibile contro i marchi che sono così blandi da dissolversi nell’oblio. Abbiamo adottato un approccio anarchico, fai-da-te, decisamente spericolato mentre strappavamo il libro delle regole aziendali e facevamo le cose alle nostre condizioni. I risultati sono stati elettrizzanti. (da Business for Punks)

 

Della celebrazione della propria diversità e indipendenza James Watt e Martin Dickie hanno fatto una bandiera sin dal principio e, così come è stato una chiave del loro successo, è anche un termine necessario attraverso cui guardare le recenti evoluzioni di BrewDog.  I risultati della campagne di crowdfunding, la cessione al fondo americano fino alla recente lettera dei Punks with Purpose gettano più di un dubbio sulla filosofia e i reali valori di BrewDog, soprattutto al modo in cui si è evoluto nel corso degli anni. Abbiamo quindi analizzato il percorso di evoluzione, tanto dal punto di vista economico che culturale, per capire se il loro sogno di avere un mondo più punk, più buono e inclusivo sia ancora vivo.

 

BrewDog punk

 

L’Equity for Punks dieci anni dopo

Un momento decisamente fondamentale nella storia di BrewDog è stato sicuramente il lancio, nel 2009 di Equity for Punks, la prima campagna di finanziamento popolare con cui il birrificio nato a Fraserbrurgh, contro tutto e tutti, portava al centro del suo sviluppo la comunità di bevitori e appassionati. Fu una campagna rivoluzionaria sotto molti punti di vista, riuscendo a raccogliere i fondi necessari a guidare l’espansione delle strutture senza doversi svendere a gruppi più grossi. Fu una lezione di stile impressionante (raccogliendo, nella prima edizione, 700mila sterline attraverso 1,330 investitori) che nel corso degli anni viene riproposta fino a coinvolgere oltre 120mila investitori e a raccogliere un totale di quasi 73 milioni di sterline secondo le stime di Morning Advertiser. Lanciato a inizio anno, Equity for Punks Tomorrow è stato l’ultimo (probabilmente) tipo di campagna di crowdfunding, nato per sostenere il programma di transizione ecologica e il passaggio ad azienda Carbon Negative che ha raccolto, a oggi, oltre 27 milioni di sterline.

Il raggiungimento della certificazione B-Corp nel 2021 ha reso BrewDog il primo birrificio al mondo carbon negative, mostrando insieme alla creazione dell’immensa Lost Forest per ripopolare di alberi oltre tremila ettari oggi disabitati, l’impegno di Watt e Dickie per un mondo più sostenibile ed eco-friendly. Il risultato di Equity for Punks Tomorrow, e di tutte le altre campagne di crowdfunding, nate da un lato come necessità per sostenere l’espansione (soprattutto all’inizio)  vanno però guardate con occhi diversi, soprattutto in relazione all’evoluzione strutturale messa in atto da BrewDog negli ultimi anni.

Dal 2017, infatti, BrewDog non è più una realtà completamente indipendente, avendo venduto il 22,7% dell’azienda a una holding di San Francisco per 264 milioni di dollari per potenziare la propria presenza negli Stati Uniti. Una scelta che si è rivelata vincente e che ha permesso a BrewDog di triplicare le produzioni nel continente americano in appena un anno. Al momento dell’acquisizione, seguendo quello che dichiara Forbes USA, Watt e Dickie hanno dato la possibilità agli investitori di vendere le proprie quote ma solo il 2% avrebbe accettato l’offerta. Quello della vendita di TSG Consumer Partners è un primo tassello della nostra ricerca, che va direttamente contro all’idea per cui nacque Equity for Punks e, di fatto, lo affonda. Secondo una ricerca del Financial Times, al fondo «è garantito un rendimento annuo del 18% sul suo 22%, con priorità rispetto agli altri il che significa che gli investitori rischiano di non guadagnare nulla o di perdere denaro anche se il valore dell’azienda si dovesse alzare». In sostanza dopo l’accordo i finanziatori storici di BrewDog rischiano di non avere quel guadagno prospettato all’inizio e di non avere più quella possibilità di agire direttamente sulle scelte del birrificio.

Questa realtà trova ancora più conferme nel caso dell’ultima campagna di crowdfunding, come spiegato anche da Myrto Lalacos, Investement Executive di Praetura Venture, che ha analizzato il prospetto economico (scaricabile qui) fornito da BrewDog. Il rischio per i nuovi investitori (intesi come chi investe migliaia di sterline) è di non ritrovarsi a poter creare profitto perché il target prospettato da BrewDog è talmente alto (attorno ai due miliardi di sterline) che il guadagno sarà praticamente impossibile: «Gli investitori nell’ultimo crowdfunding UK Equity for Punks otterrebbero i loro soldi indietro sole se l’azienda venderà per [circa] 2,2 miliardi di sterline nel 2024». Tutto questo contando che BrewDog, solo nel 2020, ha perso a causa della pandemia quasi 7milioni di sterline.

Per chi credeva in BrewDog non è mai stata una questione, probabilmente, solo di soldi. Gli investitori che fecero la storia nel 2009 non avevano puntato solamente su quello ma su un determinato stile, e determinate dinamiche, sbandierate da Watt e Dickie in ogni momento della loro carriera. Quel Live Craft, Die Punk che doveva portare una rivoluzione totale nel mondo della birra e, in qualche modo, nel business intero.

 

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Go fast or Go Home, BrewDog e il mito della velocità

Alcune persone pensano che andare piano sia un buon piano. Crediamo che andare veloce sia meglio. La velocità cambia tutto. Viaggia spedito e domani ci saranno solo due tipi di attività: quella veloce e quella morta. (da Business for Punks)

James Watt parla nel suo memoir-ispirazionale Business for Punks della velocità come di un requisito fondamentale per il successo. Go Fast or Go Home, del resto, è il titolo di questo capitolo in cui si racconta la necessità di spingere sempre al massimo per continuare a crescere, non solo dal punto di vista della produzione (come accaduto per loro, arrivati a a produrre 195 milioni di litri nel 2019) ma anche per la comunità e i propri lavoratori. Lasciare una traccia positiva nella società, allo stesso modo in cui Equity for Punk Tomorrow dice di esserlo per l’ambiente. Se la questione finanziaria può mostrare già un’espressione chiara di come la corsa al guadagno costringa spesso a lasciare una parte di ideali, la realtà raccontata dalla lettera aperta firmata da una serie di ex dipendenti con livelli, storie e mansioni differenti scende ancora più nel profondo.

Le testimonianze di Punks with Purpose danno luce, come mai prima d’ora, alla realtà di BrewDog, fatta di una vera e propria ossessione legata alla crescita che ha avallato l’affermazione di una cultura tossica e basata sulla paura per poi diventare l’ombra di se stessa in ogni suo aspetto. I Punks with Puropose parlano di marcio e di un culto estremo della personalità che ha finito per rappresentare lo stesso nemico per cui questi punk si erano mossi, confermando tutti i sospetti attorno le ultime campagne (vedi la Pink IPA, confermato dallo stesso James Watt in My 10 Biggest Mistakes As BrewDog’s CEO) e la filosofia stessa del birrificio.

«Nel mondo della post-verità» scrivono, «avete permesso ai fini di giustificare i mezzi, più e più volte. La menzogna, l’ipocrisia e l’inganno possono essere strumenti utili; Le campagne di pubbliche relazioni ripetute più e più volte su LinkedIn sono utili per aumentare la consapevolezza e se qualcuno mette in dubbio la validità delle affermazioni, puoi semplicemente passare alla campagna successiva. Quante altre volte vedremo le storie sull’invio di birra di protesta in Russia (non l’avete fatto), su James e Martin che cambiano i loro nomi in Elvis (non l’avete fatto) o l’offerta di un congedo di Pawternity (che a molti dipendenti semplicemente non è mai stato permesso di prendere)?»

E ancora:

È con te [James Watt, ndt] che risiede la responsabilità di questa cultura marcia. Il tuo atteggiamento e le tue azioni sono al centro del modo in cui viene percepito BrewDog, sia dall’interno che dall’esterno. Valorizzando la crescita, la velocità e l’azione sopra ogni altra cosa, la tua azienda ha ottenuto cose incredibili, ma a spese di coloro che hanno realizzato i tuoi sogni. […] La vera cultura di BrewDog è, e apparentemente è sempre stata, la paura. Vai su LinkedIn e dici che la responsabilità si ferma a te ma hai il coraggio di guardare la squadra che hai costruito intorno a te e ammettere che la stragrande maggioranza di loro ha paura che il loro prossimo errore possa essere l’ultimo a BrewDog?

Questa lettera arriva direttamente al punto nevralgico di BrewDog e costringe a una riflessione non solo del birrificio ma su come questo tipo di pratiche possano veramente essere limitate nell’ambiente.  Alla lettera di Punks with Purpose, James Watt ha deciso di rispondere quasi immediatamente. In una lunga dichiarazione Watt si assume le proprie colpe, scusandosi per ciò che è avvenuto e rilanciando sin da subito un programma di revisione completo, con valutazioni legate allo staff, ai responsabili, a chi ha lasciato il lavoro e promettendo un nuovo programma di salario, di benefit e un sindacato interno.

Tutte idee importanti che arrivano, forse, troppo tardi per salvare quel sogno punk che avrebbe dovuto portare effettivamente un cambiamento nel mondo e, forse, è finito troppo presto per assomigliare a quelli a cui era sempre stato contro.

Update 26 gennaio 2022

Nonostante l’ennesimo atto di auto J’accuse da parte di James Watt sui propri errori come CEO di BrewDog, nelle ultime ore sono sorte nuove accuse nei suoi confronti. Come riporta il Guardian infatti il fondatore di BrewDog è stato accusato di aver minacciato di rendere pubbliche le identità di alcuni ex dipendenti, in nuovi post sul forum “Equity for Punks”, apparsi in maniera anonima nel documentario Disclosure: The Truth About BrewDog, dedicato ai recenti scandali interni andato in onda sulla BBC (e disponibile a questo link). Watt ha dichiarato: «Sappiamo che alla BBC sono state fornite false informazioni, che se trasmesse sarebbero altamente diffamatorie. BrewDog sostiene pienamente la trasparenza e il giornalismo investigativo. Tuttavia, deve anche proteggersi dalle accuse diffamatorie e non esiterà a farlo».