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Negli Stati Uniti le lattine per la birra artigianale stanno diventando un problema

Nel corso degli anni le lattine di birra hanno subito una complessiva rivalutazione in termini qualitativi tanto da diventare, sull’onda degli Stati Uniti, un marchio distintivo del movimento e una possibilità unica di sperimentazione grafica e brassicola. Se per qualcuno la lattinazza era diventato sinonimo della qualità da discount, col tempo la birra artigianale si è ‘impossessata’ di questo contenitore per farne un tratto distintivo, elevandolo a degno contenitore di storie da raccontare. Del resto i vantaggi sono da sempre evidenti: a una migliore conservazione, una customizzazione totale e una rilevante tutela ambientale si abbina un prezzo relativamente ridotto rispetto alla canonica bottiglia di vetro.

Da un punto di vista morale, la questione ricorda un po’ quella dell’eterna lotta musicale fra vinili, cd e, infine, le piattaforme di streaming. Non è tanto la custodia, direbbe qualcuno, ma ciò che c’è all’interno a contare e, fin qui, possiamo essere d’accordo. La lattina per la birra artigianale è diventata, seguendo un flow d’oltreoceano, una sorta di totem sacro per il suo definitivo rinascimento, il collante fra il prima e il dopo, il secondo album di ogni band sul cui destino c’è l’Olimpo del rock ‘n roll. È evidente, ormai, l’importanza che si scrive su questi rotoli di bauxite e, negli Stati Uniti progenitori di questa strada, l’improvviso aumento delle produzioni artigianali, il Covid-19 e le nuove abitudini dei consumatori hanno creato una bolla pronta a esplodere su se stessa.

60 percent of beer came in cans, 30 percent in bottles, and 10 percent was draft sales in breweries, bars and restaurants. It’s that 10 percent that became a problem.

Quello che emerge da un recente articolo del Washington Post, dall’eloquente titolo We have too much beer and not enough cans, in cui viene riassunta la situazione delle birre in lattina, in tempo di Covid l’industria di trasformazione degli Stati Uniti dell’alluminio (la cui fornitura dipende dalle importazioni di bauxite da Brasile, Jamaica e Australia) ha vissuto un’impennata degli ordini talmente imponente da non essere in grado di assorbire in pieno le richieste dell’industria alimentare che, in epoca di lockdown, ha visto aumentare la domanda di bevande non alcoliche, bibite, energy drink e alcolici in lattina mai vista prima. Per comprendere la gravità della situazione la Ball Corporation, leader mondiale della trasformazione di alluminio, ha dichiarato di essere a corto di DIECI MILIARDI di lattine per il solo 2020.

Via pennlive.com

Questa situazione ha inevitabilmente dettato una corsa all’alluminio unica nella sua storia, portando i grandi gruppi (Pepsi, Coca Cola, Anheuser-Busch, Molson Coors) a prendersi gran parte del mercato, passando a setaccio i grandi e piccoli distributori alla ricerca di lattine con cui riempire i negozi, a discapito delle realtà indipendenti e più piccole.

«In tempi di carenza, non ci sono violazioni dell’antitrust e, quindi, si privilegiano i clienti più grandi» ha confermato Bart Watson, responsabile economico della Brewers Association of America, prevedendo una situazione catastrofica per il futuro della birra artigianale made in USA. I piccoli e medi produttori americani si sono ritrovati, improvvisamente, con una sovrapproduzione imprevedibile, dovendo chiudere taproom e non potendo più fornire bar e ristoranti, affidandosi quindi al commercio al dettaglio e online. La mancanza di lattine li ha portati a dover scegliere fra perdere le produzioni o riconvertire i sistemi di imbottigliamento al vetro. Alcuni piccoli produttori, per cercare di tamponare la perdita, si sono messi in moto per acquistare le lattine inutilizzate da altri birrifici che non sono state vendute o che contenevano errori di stampa, modificando le etichette per poterle vendere.

Intervistato dal Washington Post, il responsabile di DuClaw Brewing Co. ha dichiarato di ritrovarsi senza abbastanza lattine per imbottigliare ogni settimana da fine luglio. Le spedizioni sono sporadiche e, come per altri produttori medio-piccoli, a volte nemmeno complete. Il problema, però, non si ferma qui.

Una ricerca condotta a settembre dal Beer Institute insieme alla Brewers Association,  National Beer Wholesalers Association e l’American Beverage Licensees ha previsto che il numero di posti di lavori persi sarà intorno al mezzo milione, contando ruoli di produzione, distribuzione e vendita, nonostante l’impennata di vendite che ha comportato il lockdown. Con la chiusura delle taproom, il blocco della distribuzione e la mancanza di lattine negli Stati Uniti il futuro della birra americana è tutt’altro che scontato. Il  Ministero del lavoro, in quest senso, ha già confermato che i posti persi fra i soli marzo e aprile si attestano sulle 50,000 unità.