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Gabe Barry | Brooklyn Brewery (US)

Foto: Studio Emma Svensson

Gabe Barry è la frizzante responsabile del dipartimento Education di Brooklyn Brewery. L’abbiamo incontrata a Milano, all’East Market Shop a Porta Venezia, in occasione del lancio della hoppy lager Special Effects. Io e Gabe parliamo un po’ prima di accendere il microfono, mi racconta delle serate che organizza in tutta New York in cui trasforma la passione per la birra in una performance musicale sui piatti.

 

Gabe Barry, The Hop Review

 

Gabe, come sei entrata nel mondo della birra artigianale?

Sono entrata nel mondo della birra artigianale undici anni fa, dopo anni nelle organizzazioni di giustizia sociale, in cui ho imparato l’energia e la voglia di cambiare il mondo, della passione che ci vuole per fare bene il proprio lavoro. Ho cominciato a lavorare per un birrificio artigianale inizialmente per mantenermi mentre cercavo di capire cosa volevo fare nella mia vita, col tempo mi sono accorta di come la birra artigianale, di oggi e di ieri, è qualcosa che ha a che fare con la socialità non solo dei pub, che crea connessioni fra le persone, che riguarda l’arte, la scienza così come il senso di comunità. Si possono cambiare le cose, anche attraverso la birra, o almeno è quello che cerco di fare.

E la tua storia con la birra com’è iniziata? Di cosa sa la tua prima bevuta?

Il mio primo ricordo sa di casa, nell’Upside newyorchese. Vicino a dove vivevo c’è lo storico birrificio Saranac, con cui tra l’altro collaboriamo per lo sviluppo di alcune birre Brooklyn nella sede di Newton. Mio padre era abituato a bere birra artigianale, e comprava delle casse di quelle che allora si chiamava Saranac Trail Mix, in cui c’erano diverse bottiglie di ogni genere, anche se lui preferiva le chiare. Non era uno da lager scure, così ne avanzavano sempre. Una sera, da bad kid delle superiori, con nessun rapporto con l’alcol e un’adolescenziale storia finita male, gliene ho rubata una dal frigorifero e l’ho provata. Ricordo di essermi chiesta cosa fosse questa bibita dolce, che razza di strano liquido stessi bevendo. Mia madre beve vino e ogni tanto tequila e la birra è sempre stata una cosa che avevo visto bere soprattutto agli uomini e su cui mi ero fatta poche domande. Col tempo ho imparato a capire come la birra non sia una cosa sola ma con tante sfumature.

 

 

Quanto è stato importante per te lavorare con un mostro sacro come Garret Oliver?

Garrett Oliver è come un mentore per me, parte di una generazione molto diversa dalla nostra, cresciuta con lo studio e l’esperienza. Avevano libri e non internet su cui studiare, è partito da casa, in maniera diretta. Da un tempo in cui per avere risposte l’unico mezzo era fare le domande alle persone giuste. Volevi sapere come ottenere un certo tipo di schiuma, di imbottigliamento? Chiedevi ai mastri belgi. Vedi in questo ci vedo ancora un legame, un’importanza del parlarsi faccia a faccia e condividere certe cose. C’è un senso di responsabilità in tutto questo, forse noi saremo l’ultima generazione, da millennial, che ancora può dire di non essere cresciuta solo con internet, di aver fatto ancora esperienza. È quello, almeno, che cerco di trasmettere agli altri come Garrett a fatto con me.

E il tuo arrivo a Brooklyn?

Come ti dicevo ho cominiciato ad occuparmi di birra artigianale undici anni fa, in un piccolo birrificio di New York, quando ancora era un mondo abbastanza di nicchia. Quando ho realizzato che volevo fare questo, nella vita, ho capito anche che per crescere fosse necessario uscire dai soliti ambienti, non limitarsi agli addetti ai lavori e alle persone che c’erano già. Mi è sempre interessato dar voce alle diverse voci, cercare di capire le differenze e le cose che avvicinano i più giovani ai più adulti, e tutte le sfumature che compongono il mondo. Ho cominciato a lavorare per Brooklyn nel 2013, dopo l’esperienza del laboratorio indipendente. Avevo notato come, nonostante si trattasse di un’azienda piuttosto grande, mancasse un collegamento fra la produzione, gli specialisti, gli assaggiatori, il reparto vendite fino ai gestori dei locali, e ho pensato di poter essere io quel punto di collegamento. Così ho mandato una candidatura, spiegando ciò che avrei voluto fare per far crescere il brand e riempire queste lacune, così mi hanno preso, per quattro anni ho lavorato nel quartier generale a Brooklyn, cercando di dare il massimo.

 

 

Poi sei diventata la responsabile del dipartimento Education in Europa, com’è partita questa avventura? E quale obiettivi ti sei posta?

Ho scritto un’altra lettera l’anno scorso, in cui presentavo questa nuova idea [ride] di aprire un settore Education dedicato al mercato europeo. Mi hanno detto okay, proviamoci. Gli obiettivi che mi sono posta riguardano certamente anche ampliare il mercato di Brooklyn qui in Europa, allo stesso modo in cui lo facevo già negli US, dandogli comunque una traccia particolareggiata, cercando di indagare come la birra si intersechi anche qui con la vita di tutti i giorni. A volte significa trovarsi al tavolo con esperti e professionisti, molto più spesso solo con delle persone che hanno voglia di uscire insieme. In questo senso intendo il progetto Education di Brooklyn, qualcosa che non riguardi solo la conoscenza tecnica, lo stile, gli ingredienti e il gusto ma che sia inserito el contesto culturale più esteso e che si guardi intorno, che consideri cosa ci porta a stare insieme quando condividiamo una birra.

Come mi hai raccontato prima la tua idea di birra è profondamente legata al concetto di condivisione, non solo dal punto di vista delle bevute in compagnia, ma che questo rapporto possa prevedere anche una contaminazione, con la musica, con le arti in generale.

Credo che uno dei ruoli principali di questo lavoro sia dare spazio alla creatività, in tutte le sue forme e che si debba supportare l’espressione artistica. Musica e birra fanno parte di questo discorso, sono due elementi che si associano facilmente insieme, come se fosse un’azione naturale come vestirsi ogni mattina. Non serve qualcuno per fartelo fare, anche se per me non sarebbe male (ride), semplicemente sai come farlo e non ci pensi. Brooklyn ha questa magnifica possibilità nell’industria di aiutare e aprire le porte su un nuovo modo di accompagnare la birra. Come nel cibo, allo stesso modo in cui la cucina si fonda sui contrasti, le armonie o le consistenze, così accade con la musica. Le canzoni che ho scelto per questa serata si riferiscono a questo aspetto. Alcune canzoni mi fanno pensare alla fermentazione, alcuni riff di flamenco mi portano alla storia mi fanno muovere e via dicendo. È qualcosa in cui si può credere, qualcosa che definisce il nostro senso personale e la nostra visione delle cose.

La domanda che aspettiamo di farti più di tutte è, con quante Special Effect pensi sia possibile prendersi una sbronza?

Questa Hoppy Lager ha 0,4 gradi, e può essere come bere del Kombocha. Non credo che un uomo possa consumare abbastanza velocemente la quantità di birra necessaria per farlo sbronzare, io almeno sono sicura di non potercela fare, ma se hai un sogno, puoi realizzare tutto quello che vuoi!

Gabe si fa una risata e poi corre a ballare, sulle note di una traccia electro, insieme agli altri, in compagnia di una birra.

 

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