Virginia Sofia Casadio Newtown park brewing
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Virginia Sofia Casadio e il percorso che l’ha portata a diventare Head Brewer di Newtown Park Brewing

La storia di Virginia Sofia Casadio è certamente veloce e brillante riuscendo, in poco meno di quattro anni dal diploma in DIEFFE, a essere assunta come head brewer di Newtown Park Brewing a Bristol, ma è anche frutto di un percorso che si è naturalmente indirizzato verso un obiettivo preciso, che ha fatto i conti con le opportunità e i compromessi per guadagnarsele. Come ci racconta in un pomeriggio quasi estivo, in uno dei pochi giorni in cui riesce a staccare dal lavoro dove è in fase intensiva di produzione, l’incontro con la birra artigianale ha trasformato gran parte della sua vita. Il suo modo di bere, che col tempo e le bevute è diventato sempre più preciso, e quello di concepire la birra attraverso le prime prove in cucina con un kit per principianti che l’hanno portata a investire in un impiantino da 100 litri. Dopo la laurea Virginia si trova a Venezia per lavorare nella galleria d’arte della madre e sfrutta la bassa stagione invernale per approfondire le proprie conoscenze. È in quel periodo che, dopo un mese passato in Svezia, da Strange Brew: «lavoravo in in cambio di vitto e alloggio, volevo capire cosa voleva dire fare birra in maniera professionale», decide di iscriversi in DIEFFE per prendere il diploma:

«La mia classe è stata la prima ad avere al suo interno tre donne mentre le altre erano composte da soli uomini. Con me c’era anche Marta Bergamo, una mia cara amica, che oggi è mastra birraia di Birra Follina e insegna in DIEFFE. È stato un periodo che ricordo con piacere anche se, ogni tanto, scappava qualche battuta da parte di professori o altre classi sul motivo per cui mi trovavo lì, per esempio, e non all’indirizzo di pasticceria o se fossi lì perché il mio ragazzo era appassionato. Non servivano e non facevano piacere.»

Capovolgere le abitudini. Di questo parlavamo all’inizio, introducendo l’esperienza di Virginia Sofia Casadio. Come tutte le realtà con una tradizione tipicamente maschile farsi spazio per le donne e per le minoranze è tutt’altro che semplice. Questo non rende, necessariamente, l’ambiente tossico o maschilista ma rende necessario porsi domande sulla sua inclusività, su come renderlo più aperto e più vivo togliendo ogni possibile ostacolo. Questo discorso riguarda anche gli stessi compagni di Virginia e si fonde con le possibilità di accesso di tutti (soprattutto per i più giovani) e di poter mettersi alla prova senza saltare da un tirocinio all’altro, seguire quella gavetta che non può durare tutta una vita, e non dover uscire dal paese come accaduto a Virginia: «Durante il percorso accademico era obbligatorio fare il tirocinio, io ho deciso di farne il più possibile. Il primo è stato con BAV a Venezia, poi sono andata in Olanda da Oersoep e poi in Inghilterra a Brew By Numbers. Volevo capire se potevo essere adatta a questo lavoro e passare dall’homebrewing a fare sul serio. Ho scelto di fare la birraia, ho mollato il lavoro a Venezia e ho cominciato a candidarmi nei birrifici. Quando mi sono diplomata l’unica cosa che ho trovato erano altri tirocini, spesso non pagati o pagati poco. È un classico che non riguarda, certamente, solo il mondo della birra ma pochi, pochissimi, miei compagni oggi guidano un birrificio in cui hanno la possibilità di fare le proprie ricette. In Italia non è un problema soltanto di genere, è un problema anche di possibilità, di essere presi in considerazione per le proprie capacità e non perché si è in un giro particolare o perché si accetta un percorso di lavoro che non sembra mai finire».

E se avessi avuto opportunità diverse, chiediamo a Virginia, saresti rimasta? «», ci dice senza pensarci un attimo «e, anzi, non voglio precludermi la possibilità di tornare».

Virginia Sofia Casadio Newtown park brewing

 

Dopo il diploma un paio di birrifici inglesi, invece, offrono a Virginia Sofia Casadio il ruolo di assistente birraia, fra loro la scelta ricade su Moor Beer, lo storico birrificio di Bristol: «venivo pagata pochino ma era un lavoro vero e a tempo pieno, fatto di pulizie, lavori di fatica e ore su ore da cui ho imparato molto. Ho continuato per un paio d’anni circa, aumentando progressivamente le responsabilità fino a diventare il membro in produzione di livello più elevato, dopo il Manager che era lì da 11 anni.  Non assistevo il mastro birraio, che sarebbe stato Justin ma svolgevo il lavoro il birraio a tutti gli effetti finché non ho deciso di licenziarmi». Virginia rimane effettivamente nel birrificio per qualche anno, finché – a luglio 2020 –  non decide di lasciare il posto che si è guadagnata con fatica e non per una questione di opportunità:

«Sono rimasta a Moor un paio d’anni finché non ho deciso di andarmene. Lavorare in quell’ambiente per me era diventato insostenibile, così mi sono licenziata senza prospettive o altri piani pur di uscirne. Mi sono ritrovata a far parte e accettare un ambiente ostile e tossico.»

Sull’esperienza a Moor Beer, Virginia vuole essere chiara: «Mi piacerebbe che si venisse a sapere la verità riguardo al birrificio. Sicuramente era tra i migliori birrifici a Bristol quando è arrivato dal Sommerset ed io ero al settimo cielo quando mi hanno offerto il lavoro, in tanti mi dicevano che Justin era una persona difficile, ma non ho capito cosa volessero dire finché non ho cominciato a lavorarci. Nella mia esperienza con Justin Hawke lui non era quasi mai presente in birrificio, ma si trovava spesso in Italia, in Spagna o in giro per eventi. Questa cosa che lui venga riconosciuto come il birraio è fastidiosa per chi effettivamente lavora in produzione. A noi birrai non veniva nemmeno data la possibilità di partecipare ai festival e spillare le birre al di fuori di Bristol. Prima del mio arrivo veniva addirittura fatto firmare un contratto con clausole che impedivano di lavorare in altri birrifici per un anno intero dal licenziamento. Justin è stato anche portato in tribunale da un dipendente, in UK i suoi comportamenti sono noti al contrario che in Italia».

 

«Il peggio per me è stato durante il primo lockdown, dove ci è stato dimostrato che la nostra sicurezza non era la priorità. Ci ha cambiato il contratto obbligandoci a lavorare 4 giorni a settimana invece che 5 per pagarci meno. La mole di lavoro però era la stessa, e visto che ognuno lavorava un giorno in meno si era sempre a corto di una persona. Io e un altro ragazzo abbiamo dato le dimissioni dopo due mesi a dir poco sfinenti. Visto che lui aveva già un nuovo lavoro in un birrificio mentre io no, gli è stato vietato di avvicinarsi all’impianto di produzione e ha dovuto passare l’intero mese nel reparto di packaging»

Per fortuna, dopo questa esperienza in Moor, in poco tempo arrivano due offerte di lavoro fra cui quella di Newtown Park Brewing che ha deciso di accettare. La prima avventura come mastra birraia di Virginia a Newtown Park Brewing avviene nel momento peggiore. I birrifici sono praticamente chiusi causa Covid e il consumo di birra artigianale in UK è tornato sui livelli del 2017 nonostante il boom portato dalle vendite online: «C’era tanta tensione e tanta paura prima di partire, ho passato l’estate a provare e riprovare le birre, a scrivere ricette e cercare quello che avrei voluto fare. L’impianto è partito solo a novembre e per Natale avevamo già tre birre. È andata molto bene, abbiamo vinto un concorso di birre emergenti che ci porterà nella maggior parte dei festival estivi inglesi organizzati da We are Beer.»

È anche una questione di mentalità e di come questa si può affermare qui da noi. In Italia la birra artigianale è una cultura ancora giovane, ne abbiamo parlato e ne parlano tutti allo stesso modo, ed è profondamente diversa dalla UK, come anche Virginia sottolinea più volte. La percezione si muove fra differenze millimetriche, fra birrifici tradizionali, che producono i propri bestseller classici, e le nuove onde di microbirrifici che, invece, riescono a rappresentare una ventata di novità. Non per questo, però, continua Virginia, la cultura UK è esente da difetti o situazioni al limite come lei stessa, del resto, ha vissuto: «C’è sicuramente più interesse, più attenzione alla diversità, più ragionamento intorno all’impatto culturale ma serve, probabilmente, ancora del tempo perché questi discorsi da noi. Mi sento fortunata per quello che vivo qui che, tutto sommato, mi fa sentire accettata e rispettata per quello che faccio».

Newtown Park Brewing è un birrificio giovane, guidato da una maggioranza femminile che, insieme a Virginia Sofia Casadio, viene guidato anche da Lara Light-McKelvaney, proprietaria insieme al marito Michael. Parliamo con Virginia, allora, dell’aspetto produttivo, del lavoro e della ricerca che li ha portati ad avere quattro birre in linea (All Day Long, Come Alive, Emerging from the Mist Level Up): «Siamo partiti preparando dieci birre in un garage in attesa dell’impianto, da cui poi abbiamo selezionato le migliori da sviluppare. Di questo lavoro mi piace che la mia creatività venga continuamente stimolata e presa in considerazione. Ragioniamo insieme su quali birre vorremmo fare e su come realizzarle, se partire da qualcosa di classico o qualcosa di più nuovo, su quale mouthfeel lasciare in chi la beve. Cerco di limitare l’amaro, pensando a quello che voglio ottenere. In qualche modo si parte sempre da un gusto o da che carattere vuoi dare a una birra, poi lavori di percentuali sugli ingredienti per trovare l’equilibrio giusto».

Per chiudere, insieme a Virginia, ritorniamo su quell’argomento da cui eravamo partiti che poi, in fondo, dovrebbe essere quello di tutti. Come vorresti che fosse la birra artigianale?

«Mi piacerebbe che le differenze nella birra artigianale non si dovessero notare, che fosse semplicemente naturale e non importasse davvero chi è a farla, che i preconcetti sui generi non determinino la scelta ma siano il ponte per nuove opportunità. Mi piacerebbe che i bevitori, chi frequenta e lavora in questo mondo capisse che alcuni atteggiamenti possono essere offensivi, che potessero capire veramente e, almeno, scusarsi dopo aver capito che quello che fanno può rendere difficile o ferire gli altri.»

Aggiornamento 26 giugno 2021: Abbiamo cercato di contattare Moor Beer per dargli spazio di replica e/o commentare ma, a oggi, nessuno ci ha ancora risposto.

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