Mikkeller, allo stesso modo di BrewDog, ha rappresentato un immaginario mistico nel mondo della birra artigianale europea e mondiale. Proprio come gli scozzesi, anche Mikkel Borg Bjergsø e Kristian Klarup Keller, nel 2006 partono da casa con le prime ricette e poi decidono di investire nelle proprie potenzialità partendo da una serie di collaborazioni in stile beer firm che daranno il via a quello che viene chiamato il gipsy beer movement, producendo un numero incredibile di birre e stili differenti in pochissimo tempo. Dopo l’abbandono di Keller appena un anno dopo, Bjergsø crea una delle aziende più riconoscibili e importanti in Europa. La crescita è esponenziale e, partiti da Copenaghen, arrivano in Europa, negli Stati Uniti fino in Cina, collaborando con ogni birrificio possibile e avviando il proprio franchise attraverso collaborazioni personalizzate come nell’avventura milanese in coppia con la pizzeria Berberé. Se per BrewDog sarà l’anima punk a distinguerli dagli altri, per il birrificio danese è sempre stato lo stile amichevole e rilassato, la fantasia e la particolarità di birre prodotte senza sosta su cui vengono rappresentate le avventure di Henry e Sally, i personaggi creati da Keith Shore ed entrati di diritto nel folklore scandinavo.
Una delle idee più di successo per Mikkeller è rappresentata dall’organizzazione del primo Copenhagen Beer Celebration (oggi Mikkeller Beer Celebration Copenhagen) diventato per dimensioni, birrifici e one shot preparate per l’occasione uno dei festival più importanti del mondo nel giro di pochissimo tempo. Dopo il rinvio causa Covid, quella del 2021 doveva rappresentare sotto ogni punto di vista un momento di rilancio, una vetrina per le novità più interessanti del momento e un ritorno alla normalità. L’MBCC 2021, però, non è e non sarà lo stesso di sempre. Su oltre 100 birrifici quasi la metà, in pochi giorni, ha rinunciato alla propria partecipazione in contrasto con la direzione presa da Mikkeller dopo la primavera del #metoo. A pesare, nelle decisioni dei birrifici di abbandonare questa kermesse, è stata certamente la pressione dei gruppi di influenza come @womenofthebevolution e @emboldenactadvance, impegnati nella lotta alle discriminazioni e per l’inclusione di donne e minoranze etniche, genere e orientamento sessuale nel mondo della birra.
Per cercare di comprendere i passi e i motivi per cui si è arrivati a questo punto dobbiamo, però, ritornare a qualche mese prima, al maggio rovente del #metoo.
You too, Mikkeller
L’immagine pulita e ricca di fascino della coppia Henry e Sally comincia a traballare a maggio scorso quando l’esplosione del #metoo partito dall’account della mastra birraia Brienne Allan che stravolgerà non poco l’equilibrio negli USA, ha toccato le corde più delicate dei fiordi di Danimarca. In pochi giorni, infatti, anche il birrificio di Bjergsø si è ritrovato a dover rispondere alle denunce di molestie sessuali, discriminazione e bullismo ricevute da quattro donne durante la loro esperienza fra il 2014 e il 2020 al birrificio e brewpub di San Diego e nell’iconico Warpigs, il brewpub al centro di Copenaghen che Mikkeller possiede e gestisce in collaborazione con 3 Floyds Brewing. Al centro della tempesta finiscono lo stesso Bjergsø e il direttore operativo Jacob Gram Alsing, sia per aver agito direttamente sia per aver consapevolmente non aver fatto nulla nonostante le denunce nei confronti di altri dipendenti uomini messi nei posti di comando.
La crescente tensione attorno a Mikkeller confluisce nella prima settimana di giugno nella protesta di @mikkellerbeer.protest, arrivata contemporaneamente alle prime denunce, e l’affissione dei tre manifesti fuori dalla sede del birrificio. Il riferimento della protesta è a una serie di iniziative problematiche realizzate da Mikkeller come la Female Beer, una birra realizzata per promuovere l’empowerment femminile in collaborazione con @girlsareawesome, da cui l’associazione stessa si è dissociata nei giorni successivi, e di alcune etichette a sfondo razzista (come la Mexican Ranger e Kihøsk) uscite dal mercato ma mai ritrattate da Bjergsø e soci.
Un ruolo fondamentale nella comunicazione e diffusione delle testimonianze è stato svolto da Fanny Wandel (@fanny.wandel), manager di un cocktail bar a Copenaghen, che è stata portavoce e traduttrice direttamente dalla Danimarca, di ciò che stava accadendo. In poco tempo, con la diffusione delle storie attraverso il profilo di @ratmagnet, Fanny comincia a ricevere e pubblicare anche lei messaggi privati in cui vengono raccontati episodi di sessismo e molestie ricevuti nei birrifici e nei pub danesi:
«È iniziato tutto ad aprile quando mi è stato mostrato un gruppo Facebook creato da uno chef famoso qui, in Danimarca. Uno luogo per ‘uomini politicamente scorretti e amanti della carne’, divenuto uno spazio sicuro per gli uomini in cui scrivere ‘cose dure e sessiste con un luccichio negli occhi, senza paura che la moglie o la fidanzata lo vedano’ (come recitava la presentazione del gruppo). Qui le donne venivano chiamate ‘lavastoviglie’ e ‘contenitori di sperma’ e alcuni uomini hanno pubblicato foto dei loro cari senza permesso.
È stato scioccante vedere molti uomini del settore che conoscevo in quel gruppo, uomini che prima mi avevano sostenuto come donna ma che, evidentemente, si trovavano a loro agio in uno spazio come questo. Essendo tutto in danese ho cominciato a tradurre/riassumere le notizie condividendo anche altri problemi di sessismo nel settore. Un mese dopo, mi è stato mostrato l’account di Brienne Allan dove le donne inviavano le loro esperienze con il sessismo nel mondo della birra. C’erano storie anonime da Copenaghen che ho ripubblicato. Mi sono quindi offerta di raccogliere queste storie e trasmetterle a una piattaforma chiamata @everydaysexismprojectdanmark. Quando ho iniziato a riceverne qualcuna, erano quasi esclusivamente a proposito di Mikkeller, e chi mi ha contattato voleva che venisse condivisa il prima possibile.»
Oltre al nome di Søren Wagner di Dry & Bitter che successivamente lascerà il suo ruolo di CEO proprio per quanto successo, compare per la prima volta un video legato a Mikkeller, in cui Bjergsø e altri tre collaboratori si ritrovano a tavola con Umut Sakarya (lo chef fondatore del gruppo ‘dedicato a uomini politicamente scorretti amanti della carne’). Nel video (visibile nell’album Pt.6 delle storie in evidenza di Fanny) Sakarya si rifiuta di stringere la mano all’unica donna presente a tavola, affermando poi di essere uno da ‘ragazze giovani e birre bionde’ (qui qualche notizia sul personaggio) fra le risate di tutti.
«Un grande motivo per cui ho iniziato, e ho insistito, a parlare di sessismo» ci racconta Fanny «è perché qui in Danimarca stiamo affrontando una carenza di personale dopo la pandemia. È un’industria dominata dagli uomini in tutti i settori (cibo, birra, liquori) e c’era un’enorme opportunità di diversificazione di cui sentivo di dover rendere le persone consapevoli. Spesso vediamo un problema ricevere molta attenzione per una settimana o due, e poi sorge il problema successivo e la nostra attenzione viene deviata su quello. Questa volta, grazie allo slancio creato da Brienne, molti non erano più disposti a dimenticare».
Fra le prime a denunciare gli episodi di San Diego c’è Megan Stone, mastra birraia, avvocato e attivista, premiata nel 2021 come Person of the Year ai Craft Beer Marketing Awards per il suo impegno per il riconoscimento e una maggiore inclusione delle donne e della comunità LGBTQI+ all’interno del settore. Megan è stata Assistente Birraia a Mikkeller USA per 11 mesi e, come riportato da Good Beer Hunting, aveva già denunciato episodi di questo tipo allo staff di San Diego.
Tutte le donne, come riportato da Kate Bernot, affermano che la negligenza dell’azienda nel prendere provvedimenti ha causato loro danni emotivi e/o fisici e per questo sono state costrette a licenziarsi o lasciare l’azienda. Le tre ex dipendenti di San Diego hanno descritto un’alta frequenza di cambi del personale causate dal bullismo negli ambienti lavorativi o che sono stati licenziati per essersi lamentati: «Mi hanno fatto sapere che se non fossi stato contento di come [Alsing] diceva le cose, quello era il mio problema e avrei fatto meglio ad andarmene» ha raccontato Megan a Bernot.
«La mia salute mentale era assolutamente al minimo», ha dichiarato sempre a GBH una delle donne a proposito del periodo al Warpigs, «piangevo ogni giorno quando tornavo a casa dal lavoro e ho deciso di smettere senza avere un’alternativa. È stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso». Megan descrive la cultura di Mikkeller San Diego come in un «un costante stato di ansia», determinato da episodi come quello del suo superiore Mikkeller San Diego (poi allontanato secondo quanto affermato dal birrificio danese) all’epoca disse ai colleghi che l’avrebbe ‘scopata bene’, mentre i colleghi ripetutamente mettevano in dubbio la sua capacità di svolgere attività fisiche di produzione della birra come pulire serbatoi o sollevare sacchi di grano in quanto donna.
Mentre le parole raccolte da Fanny e quelle raccontate da Megan e le altre donne vengono raccolte e fanno il giro di tutto il mondo costituendo un movimento globale non più disposto a tollerare questo tipo di comportamenti, Mikkeller aspetta oltre venti giorni prima di pubblicare Harrassment and inequality in the beer industry, un messaggio in cui il birrificio riconosce la possibilità di eventi che abbiano potuto causare danni ai propri lavoratori e se ne scusa, promettendo dei cambiamenti. A essere criticata però è la mancanza di indicazioni e condanne precise riguardanti responsabilità personali e la mancanza di decisioni concrete in cui si ammettono le proprie colpe e si cerca di riparare i danni causati. Un passaggio che lascia, di fatto, aperta la questione.
Il Mikkeller Beer Competition Copenaghen della discordia
Il passare dei mesi e la riapertura definitiva di quest’estate non hanno però arrestato il fermento e l’attivismo, con impegni concreti da parte della comunità nel richiedere spiegazioni e interventi concreti da parte delle singole realtà, sia continuando a parlarne come nel caso di Mikkeller (che non rilascerà per quattro mesi comunicazioni ufficiali inerenti al tema e non produrrà effettivi cambiamenti) o creando progetti come Brave Noise Beer, in cui i birrifici che scelgono di produrla si impegnano a rispettare un codice di condotta basato su spazi sicuri e ambienti inclusivi per i lavoratori, trasparenza e progettualità, sull’esempio di Queer Brewing Project e Black is Beautiful, producendo una presa di coscienza e a dare traccia di un tipo di sensibilità dove prima non c’era.
Il Mikkeller Beer Competition Copenaghen 2021 non poteva, per tutte queste ragioni, passare inosservato.
«Mi sono svegliata con un messaggio di qualcuno», ricorda Fanny degli ultimi giorni, «era preoccupato per come sarebbe stato il festival alla luce di questo recente dibattito intorno a #metoo. Nel corso di 24 ore la community è rimasta sconvolta, avevamo trovato e condiviso l’elenco dei partecipanti e non è passato molto tempo prima che iniziassero a comparire le prime dichiarazioni».
Subito dopo l”annuncio ufficiale dei partecipanti al festival, alcuni dei birrifici ospiti decidono infatti di abbandonare la manifestazione (qui la lista aggiornata), a Dominion City Brewing, Collective Arts Brewing, The Veil e Kernel seguono altri, fra cui anche una i birrifici coinvolti nel progetto Brave Noise come Fair State. La forza e la determinazione con cui le opinioni e l’attivismo delle community ha permesso di ottenere questo risultato è evidente e diventa ancora più chiaro nel caso di un gruppo piuttosto nutrito di birrifici britannici (fra cui Northern Monk, Verdant, Wylan Brewery, DEYA, Burnt Mill, North Brew, Boundary Brewing Cooperative), arrivati a rinunciare dopo un’iniziale dichiarazione di voler comunque andare in Danimarca.
Davanti alle prime rinunce Mikkeller ha reagito mostrando il proprio rinnovato impegno pubblicando un codice di condotta per chi sarebbe stato al festival ma, lo stesso giorno, Bjergsø sulle pagine del Berlingske Tidende si lancia con parole dure contro ciò che sta accadendo accusando la community e Fanny di aver aizzato i birrifici a ritirarsi dal festival per non subire una gogna mediatica:
Non so perché abbiano il desiderio di colpire Mikkeller. Ma gli attivisti su Instagram stanno spingendo i miei colleghi e amici del settore e stanno cercando di distruggere il mio festival e, in definitiva, la mia attività.
Queste dichiarazioni, però, non hanno fatto altro che inasprire il confronto, mostrando la difficoltà e il caos all’interno dell’establishment di Mikkeller riguardo questo tema. Il giorno stesso delle dichiarazioni di Bjergsø i birrifici coinvolti inviano un messaggio firmato a Fanny in cui dichiarano di non aver mai ricevuto pressioni o notizie da Fanny prima della decisione di lasciare il festival.
Quando abbiamo contattato Mikkeller, il 15 ottobre, per chiedere informazioni su cosa stava accadendo e dare la possibilità al birrificio di rispondere delle accuse e delle richieste fatte da giornali e community, Pernille Pang, Head of Press del birrificio, ci ha così risposto:
«Negli ultimi quattro anni, abbiamo avuto una manciata di casi di ambiente di lavoro scadente e molestie a livello locale in alcune delle sedi di Mikkeller. Abbiamo agito non appena ci sono venuti a conoscenza, ma dobbiamo riconoscere che avremmo dovuto essere più proattivi nella prevenzione di questi incidenti. I valori fondamentali di Mikkeller sono sempre stati incentrati sulla diversità e sull’inclusione e siamo profondamente dispiaciuti che alcuni dipendenti non siano stati all’altezza di questi standard.
Da allora abbiamo fatto tutto il possibile per rafforzare i nostri sistemi e le nostre politiche interne. Vogliamo davvero contribuire a creare un cambiamento culturale nell’industria internazionale della birra e il dibattito negli ultimi anni è stato salutare, sia quello in generale che quello che ha avuto luogo nell’industria internazionale della birra artigianale. Vorremmo svolgere un ruolo attivo e aiutare a spingere le cose nella giusta direzione, ed è nostra speranza che, in continuazione del MBCC, possiamo incontrare i birrifici e le persone che stanno spingendo per i cambiamenti per discutere su come possiamo crescere e sviluppare insieme. Attualmente stiamo invitando le varie parti a un forum e speriamo che noi come industria unita – e le parti interessate intorno ad essa – qui possiamo creare le basi per un cambiamento tanto necessario.»
Quello che ci scrive Pang, che in maniera simile verrà riportato su altri giornali, è la prima dichiarazione ufficiale in cui Mikkeller riconosce l’esistenza di molestie e violenze dichiarate da Megan e le altre tre donne, avvenute tra il 2014 e lo scorso maggio, a quattro mesi di distanza. Questo tentativo di Pang e Mikkeller di ricucire, in vista probabilmente di un tentativo per fermare l’esodo dal MBCC, è la prima parziale apertura in quattro mesi, a cui seguiranno altre dichiarazioni ufficiali sulle proprie responsabilità e i passi da compiere, fino al 17 ottobre quando sul suo profilo Bjorgsø si scusa delle parole dette nell’intervista al Berlingske e per l’incapacità di comprendere la questione e di non aver fatto abbastanza per prevenirlo:
«Abbiamo agito troppo poco, troppo tardi. Avremmo anche dovuto essere in contatto con tutti gli ex dipendenti che sono stati colpiti non appena gli incidenti sono diventati evidenti per noi. Questo è stato un errore imperdonabile. Li abbiamo contattati e ci siederemo, ascolteremo attentamente le loro esperienze e impareremo. I valori fondamentali di Mikkeller sono sempre stati incentrati sulla diversità e sull’inclusione e siamo profondamente dispiaciuti che alcuni dipendenti non siano stati all’altezza di questi standard. Riconosco che il nostro settore ha una cultura dominata dagli uomini e, in qualità di leader in questo settore, ho la responsabilità di mettermi in primo piano e fare la mia parte per rendere il settore il più inclusivo possibile.»
A questo seguirà un’ultima dichiarazione da parte delle staff di Mikkeller in cui vengono descritti i prossimi passi.
Come scrive Megan in uno dei commenti al post di Bjergsø, inclusivo non significa necessariamente equo, uno dei termini fondamentali a essere rivendicati dal movimento e passaggio necessario perché l’inclusività e le stesse opportunità siano assicurate per tutti. Questo, come nel caso di Brave Noise, significa portare avanti l’impegno per un cambiamento reale, affrontato attraverso passi concreti come l’introduzione di codici di condotta e l’impegno per la trasparenza, garantendo a tutti gli stessi diritti, formando ambienti lavorativi positivi che si curino della comunità dentro e fuori al birrificio. Pratiche ovvie, magari sì, ma che sono così importanti da dover essere sottoscritte e condivise da tutti. Ciò che è accaduto al MBCC 2021 e ai passi cui Mikkeller è stato portato a compiere mostrano l’importanza di un certo tipo di attivismo, per il progresso e la tutela di un settore stanco delle sue tendenze da boys club e di vecchie e tristi abitudini lasciate prosperare fino a oggi. Un tema con cui anche l’Italia, prima o poi, dovrà fare i conti.