L’insaziabile di Michele Petrucci – Birra a fumetti

In questi giorni ci siamo imbattuti nella lettura di un bellissimo graphic novel appena uscito per Coconino: L’insaziabile di Michele Petrucci. Vi chiederete cosa c’entra un fumetto con la birra, ma mi dispiace a chiunque si aspetti una risposta arguta e inaspettata, perché di fatto non c’è niente da dire. La birra con i fumetti non c’entra niente. Almeno in questo caso, visto che la storia non ruota attorno al nostro amato oro liquido. Però c’è qualcosa del fumetto che con la birra c’entra eccome, e questa cosa è la libertà. Il fumetto per noi è uno sfogo, una liberazione, un modo per dire tutto quello che passa per la testa e dove il pensiero non arriva a spiegare, ci pensano le immagini. Leggere un fumetto è come essere al bar, in cui i discorsi, le storie e i ricordi si mischiano e diventano immagini indelebili nelle nostre menti. Delle vignette. Quanti aneddoti inconfessabili abbiamo decantato a tutti i presenti spinti dall’ebrezza di tre pinte di My Antonia di Birra del Borgo? E ognuna di queste storie è rimasta impressa nelle nostre menti come una vignetta di Andrea Pazienza. Divertente e spietata.

Ma torniamo alla nostra lettura. L’insaziabile è basato su cronache e documenti scientifici di fine Settecento e dalle sue suggestive tavole ad acquerello emerge il ritratto di un personaggio enigmatico e dolente che sembra aver incarnato gli appetiti e le inquietudini di un’intera epoca. L’epoca della Rivoluzione Francese.

“Ho sempre avuto fame, da quando ricordo… Chi ha bocca vuol mangiare”.

Tarrare è un giovane contadino afflitto dalla maledizione della polifagia, malattia che provoca un appetito incontrollato e inesauribile e si manifesta con continui, mostruosi attacchi di fame. Un freak, vittima dell’ossessione per il cibo, in anni di carestie e di rabbia popolare, della fine di un mondo e dell’inizio di un altro.

Nell’anno 1788, la sofferenza e la rabbia del popolo esplodono in rivolte che porteranno l’anno successivo alla presa della Bastiglia e alla caduta della monarchia. Ma al fragile e ingenuo Tarrare tutto questo interessa poco. La sua ossessione è il bisogno continuo di riempirsi lo stomaco ingurgitando qualsiasi cosa: anche animali vivi e oggetti, se manca il cibo. Si esibisce per le strade come fenomeno da baraccone, insieme a una compagnia di ciarlatani: tra loro il nerboruto Vincent, un ex schiavo di Santo Domingo, e la graziosa Clarisse, della quale Tarrare si innamora. Si arruolerà poi nell’esercito rivoluzionario, dove il suo caso attira l’attenzione dei medici e diventa oggetto di sbalorditi resoconti clinici come la Memoria sulla polifagia del dottor Baron Percy. Ma nessuno riesce a curare la sua fame inesauribile. Tarrare si ritroverà così a vagabondare per le campagne francesi, e a unirsi suo malgrado a bande di ladri e briganti. Finché, gravemente malato, torna a Parigi per cercare di ritrovare Clarisse.

Tarrare è certamente un personaggio iconico. Perché Tarrare non è soltanto un ingordo, non mangia per il piacere di farlo, mangia perché ha fame e la sua fame non si sazia mai. Ormai conosce tutti i piatti della cucina francese, li ha assaggiati tutti, ma non ne ha gustato nessuno. Siamo di fronte a una forma di patologia che sicuramente il filosofo sloveno Slavoj Žižek riuscirebbe con grazia e ironia a rileggere come una metafora del consumismo. Non soffriamo in fondo della stessa patologia tutti quanti? Non succede forse anche a noi di trovarci sempre di fronte al bisogno di consumare, acquistare, mostrare, e dopo che siamo riusciti a esaudire questo bisogno ecco che sentiamo ricomparire quel brontolio allo stomaco che ci rende ancora più affamati? Vabbè, sono già a alla seconda Van Dogh del White Dog Brewery e non è il caso di sproloquiare ulteriormente con strane tesi filosofiche. Ma una cosa è certa: siamo tutti Tarrare! Pozzi di birra senza fondo, ricercatori instancabili di baldorie notturne, di chiacchierate infinite fondate sul nulla e indomabili posticipatori di sveglie. In una parola: insaziabili.

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